lunedì 18 marzo 2024

Prezzo elettrico basso in Spagna (Puntata 615 in onda il 19/3/24)

Da: El Periodico de la Energia
Il prezzo all’ingrosso dell’elettricità in Spagna nella prima decade di marzo [2024] è stato clamorosamente basso, medie di pochi euro e lunghi intervalli di ore a prezzo nullo.

Come è possibile che un bene sia scambiato a prezzo nullo?

È il risultato razionale della concorrenza su un prodotto come l’elettricità, stoccabile solo limitatamente e che quindi ha la caratteristica di un bene istantaneo: se in un determinato momento la domanda è più bassa della produzione di quello stesso momento di centrali alimentate a sole o vento, la concorrenza porterà il prezzo a zero perché zero è quanto pagano impianti solari ed eolici per il sole e il vento. (Naturalmente hanno altri costi - per esempio le rate del mutuo per la costruzione, la manutenzione - ma si tratta di costi fissi indipendenti dall’effettiva quantità prodotta).

In altri termini, se fermo una pala eolica o non cedo alla rete la produzione di un impianto solare non risparmio alcunché nel breve periodo. Nessuno di questi impianti quindi si sottrae a offrire energia sul mercato quando i prezzi sono bassi, con la conseguenza generale che il prezzo di mercato si annulla.

E cosa succede quando i prezzi sono nulli o molto bassi agli impianti convenzionali che devono invece pagare combustibile per trasformarlo in elettricità? Succede che si fermano perché il prezzo di mercato non ripaga almeno il combustibile. Questo in Spagna a inizio marzo [2024] è valso anche per due delle centrali nucleari del Paese, che si sono spente per non vendere a un prezzo più basso dei propri costi variabili.

Lo ha raccontato Ramon Roca in un articolo in El Periodico de la Energia linkato sul blog Derrick Energia. Come abbiamo visto già qui e come è descritto in un approfondimento sempre del blog di Derrick, spegnere impianti nucleari che hanno costi fissi enormi è un disastro economico, perché allunga i tempi del rientro in un investimento molto elevato e quindi può affossarne l’economicità. D’altra parte, se le rinnovabili servono l’intera domanda non ha senso usare combustibile nucleare (che costa) e non usare sole e vento che non costano nulla. (Che non vuol dire, ovviamente e come ho già detto poco fa, che non costi nulla un impianto fotovoltaico o eolico).

Abbiamo citato più volte la Spagna qui ultimamente perché sta sperimentando quel che potrebbe succedere da noi:

  • tubi e porti del gas sottoutilizzati in attesa che tornino utili esportando più gas ad altri paesi di un’Europa che però ne consuma sempre meno;
  • prezzi del mercato a pronti dell’elettricità abbattuti dalla concorrenza delle rinnovabili;
  • problemi di coesistenza tra rinnovabili e nucleare.

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domenica 10 marzo 2024

Progetti complessi (Puntata 614 del 12/3/24)

Andrea Cavalleroni di Cittadini Sostenibili mi ha parlato di un libro che ho trovato molto interessante, ed è stato così gentile di farlo anche per Derrick:

Il libro è “How big things get done” di Bent Flyvbjerg, che potremmo tradurre liberamente in italiano in “Come portare a termine con successo un mega-progetto”.

Flyvbjerg, professore a Oxford, è stato il primo al mondo a creare un database di tutti i grandi progetti costati più di un miliardo di dollari per analizzarne i costi e i tempi di costruzione. Negli anni, Flyvbjerg e il suo team di ricerca hanno raccolto i dati di oltre 16.000 progetti costruiti in oltre 136 paesi.

Dall’Empire State Building alla Sydney Opera House, passando per lo studio di registrazione commissionato da Jimi Hendrix e una normale ristrutturazione di una cucina domestica, il libro racconta vari casi-studio anche di piccoli progetti per raccontare con storie reali i fattori che portano a un progetto di successo. Il risultato più sorprendente è che solo un mega-progetto su 200 (quindi lo 0,5%) rispetta i costi, i tempi e i benefici promessi a priori.

Dopo decenni di ricerca e consulenze su tali progetti, l’autore ci porta alcuni messaggi chiave:

  • È importante avere chiari tutti i dettagli chiave del progetto finale prima di partire con i lavori per evitare al minimo gli imprevisti (quindi pianificare prima per evitare modifiche durante la costruzione)
  • Se possibile bisogna chiamare una squadra che abbia già esperienza in quel campo
  • Bisogna creare il budget sulla base di progetti analoghi e non solamente sulle stime dei costi di costruzione (perché questi non riescono a prevedere gli imprevisti più diffusi)
  • Modularità

Mi soffermo sull’ultimo punto. I mega-progetti che sforano di meno il budget previsto sono i progetti modulari (l’autore usa l’analogia con i mattoncini Lego), che quindi si possono ingrandire e scalare a piacimento.

Infatti il podio dei progetti che sforano meno il budget per via della loro modularità e scalabilità è composto da:

  • Impianti per produzione di energia solare (1% di sforamento medio)
  • Infrastrutture per la trasmissione dell'energia (8%)
  • Impianti di produzione di energia eolica (13% di sforamento medio del budget)

Invece le tre categorie che più sforano i budget perché non modulari, ma grandi progetti unici nel loro genere sono:

  • Stoccaggio di scorie nucleari (238% di sforamento medio)
  • Infrastrutture per le olimpiadi (157% di sforamento medio)
  • Centrali nucleari (120% di sforamento medio del budget)

Questi i dati più interessanti del libro “How big things get done” di Bent Flyvbjerg, per il momento disponibile solo in inglese, un libro che consiglio a tutte le persone interessate al project management e a quali sono i fattori chiave per un progetto di successo.

Grazie Andrea Cavalleroni. Molto energetici i progetti che ci ha portato ad esempio, e non resisto ad alcuni commenti: se è vero che la posa di impianti fotovoltaici o eolici è relativamente senza sorprese, almeno in Italia non lo è la loro autorizzazione, perlomeno quando parliamo di impianti di grosse dimensioni come è quasi sempre per l’eolico. E lo stesso vale per opere di trasmissione d’energia, se è vero che Terna chiede di farsi approvare cavi sottomarini fuori costa molto più costosi di elettrodotti aerei anche per interconnettere diversi punti del continente, proprio per evitare le lungaggini autorizzative.

Sul nucleare, il libro alza una palla ai cosiddetti SMR, i reattori modulari, che come abbiamo visto in altre puntate (e magari vedremo di nuovo) promettono di risolvere molte delle grane legate alla costruzione in situ dell’impianto. Non, però, altre forse ancora più rilevanti.

Infine, ho deciso di rinnovare la cucina. Vi farò sapere, anzi scriverò a Flyvbjerg, quali imprevisti falcidieranno il progetto.


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Questa puntata si può ascoltare anche qui: https://youtu.be/YHtzgfUJAlQ



lunedì 4 marzo 2024

Il prezzo della sicurezza (Puntata 613 in onda il 5/3/24)

La volta scorsa abbiamo visto come la contemporanea costruzione in Europa di nuovi porti e tubi per il gas per emanciparci dalla Russia condurrà molto verosimilmente a un sistema ridondante e i cui costi renderanno artificiosamente più alti quelli dell’energia stessa per i clienti finali, oppure le tasse.

Il caso del gas in Europa non è l’unico in cui a un mondo più frammentato, insicuro e meno globalizzato si risponde con nuove infrastrutture locali. Se qui le infrastrutture aprono comunque a nuovi mercati internazionali o ne ampliano di esistenti, in altri esempi l’approccio è apertamente protezionista. Si pensi alla creazione in occidente di capacità di produzione o raffinazione di terre rare o di batterie per emanciparsi dalla Cina: se fino a un certo punto si tratta di capacità produttiva che comunque servirà a fronte di un settor
e destinato ad esplodere (l’elettrificazione di trasporti e altro), è probabile che la logica di affrancamento dalla Cina possa condurre a un eccesso di capacità mondiale nei settori interessati, come è già avvenuto molto repentinamente nel caso del litio, il cui prezzo nel 2023 è sceso violentemente a fronte degli investimenti per renderlo disponibile in varie parti del mondo. Sceso fino a livelli non in grado di remunerare alcuni dei nuovi impianti.

Aiutare la capacità produttiva interna a un paese importatore per emanciparsi dalla dipendenza dall’estero costa al consumatore locale se fatta con tariffe protezionistiche, o al contribuente, sempre locale, se fatta con sussidi.

Cosa succede se poi il mondo, per fortuna, torna a essere un luogo aperto ai commerci liberi ed efficienti? Un mondo in cui, per esempio, le sanzioni verso paesi ostili vengano eliminate grazie alla fine delle ostilità.

Cosa succederebbe ai mercati del gas se il regime di Mosca venisse superato da un’evoluzione democratica e la Russia si riavvicinasse all’occidente? Verosimilmente i flussi di gas dalla Siberia verso l’Europa riprenderebbero, almeno se parliamo di un futuro abbastanza prossimo da vedere ancora l’uso del gas in Europa, ed essendo il gas via tubo generalmente più competitivo di quello via nave sarebbero guai per la remunerazione degl’investimenti in capacità di trasporto marittima, e perfino probabilmente per quelli in campi di coltivazione di gas remoti (come quelli nel mar dei Caraibi o nell’Africa subsahariana) connessi solo via nave e di colpo non più necessari a rifornire l’Eurasia.

Cosa succederà se si normalizzeranno i rapporti tra Cina e Stati Uniti riguardo all’import ed export di terre rare o di prodotti tecnologici? Anche su questi la capacità produttiva negli USA ora sussidiata dall’Inflation Reduction Act potrebbe di colpo rivelarsi sovrabbondante, con gioia almeno temporanea dei clienti che vedrebbero crollare i prezzi e dolori di chi ha investito in capacità produttiva autarchica, compresi i contribuenti.