martedì 15 novembre 2011

Einaudi, la raffinazione e i salvataggi industriali - D100

“Uno dei fattori più efficaci del successo, della prosperità e dell'attitudine delle imprese economiche a dare ai lavoratori la massima occupazione possibile è la sanzione del fallimento per le imprese male gerite. Sembra in ogni caso difficile dimostrare che il miglior sistema di garantire dalla fame i lavoratori sia di accollare siffatta responsabilità a singole imprese, invece che alla collettività”.
Questo è Luigi Einaudi che nel 1954 risponde a una nota di Piero Calamandrei in cui quest’ultimo teorizzava la dicotomia tra il “diritto degli azionisti ai dividendi e il diritto dei lavoratori a non morire di fame”. Einaudi nella sua risposta – pubblicata dal Corriere della Sera del 22 ottobre scorso e disponibile sul web – nega la dicotomia, visto che nega che siano le aziende a dover fare welfare. Le aziende, si potrebbe volgarizzare, devono fare i soldi, nell’alveo di regole e legalità, contribuendo con le tasse alla redistribuzione dei redditi, compito questo invece dello Stato. Dunque non dicotomia tra successo imprenditoriale privato e welfare, ma interdipendenza.

Se non mi sono perso l’articolo del Corriere è grazie a un altro giornale, Quotidiano Energia, che ha pubblicato il 28 ottobre un pezzo di Diego Gavagnin che commenta le richieste di Unione Petrolifera in termini di protezione sul mercato europeo dei prodotti petroliferi raffinati. Mercato difficile perché da un lato i consumi hanno iniziato a flettere, dall’altro c’è la concorrenza dei biocarburanti.

Inciso: qualche giorno fa The Wall Street Journal Europe dava conto dei primi casi di utilizzo di biocombustibili sui jet commerciali, in un articolo il cui titolo con un gioco di parole diceva che le aviolinee “are frying high” (stanno friggendo alto), anziché “flying high” (volando alto). In riferimento all’olio commestibile per frittura che ricondizionato è un biocombustibile.

Ora, la crisi della raffinazione italiana non è forse un caso di “impresa male gerita”, per usare l’espressione di Einaudi. Bensì di eccesso di capacità a fronte di concorrenza di altre fonti e contrazione della domanda di combustibili. Un caso come tanti nell’evoluzione economica e tecnologica. Gavagnin dubita che una protezione del settore renderebbe più ricca non solo la collettività, ma anche lo stesso settore, che se protetto perderebbe competitività. E fa l’interessante parallelismo con l’industria nucleare francese – a lungo protetta – che ora, scrive Gavagnin - non è più in grado di sostituire i vecchi impianti che stanno per cessare la produzione.

Affermazione forte, che non ho gli elementi per approfondire ora, ma su cui proverò a lavorare in qualche Derrick futuro. Ciò che per ora è lampante è che la tecnologia sostanzialmente francese dell’EPR, European Pressurized Reactor, non è per ora stata in grado di portare alla luce nessuna creatura. La prima prevista, il famigerato impianto di Olkiluoto in Finlandia, in grave ritardo di realizzazione, ha appena ammesso un nuovo aumento dei costi, ormai previsti quasi doppi rispetto ai preventivati.

martedì 10 maggio 2011

La scelta del fornitore di energia domestico - D86

"Una persona che si vergogna generalmente comincia ad arrabbiarsi ed è incline al cinismo" scrive Dostoevskij.

Nei giorni scorsi l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas ha diffuso dati sul fatto che oltre il 16,5% delle famiglie italiane (circa 4,8 milioni) hanno cambiato fornitore di elettricità in meno di quattro anni.
Cosa vuol dire? Che hanno smesso di acquistare elettricità a condizioni standard dal fornitore ex monopolista locale (per esempio Acea a Roma, l'ex AEM oggi A2A a Milano, e Enel in moltissime altre aree), per scegliere altre offerte sul mercato.

E a quali condizioni si compra se non si è mai scelto di cambiare? Alle condizioni della cosiddetta "maggior tutela". Cioè a un prezzo che copre i costi della filiera elettrica sulla base di valutazioni di congruità fatte dall'Autorità stessa per la parte di remunerazione dei costi fissi e di sistema e, per la parte della materia prima, sulla base dei costi sostenuti sul mercato all'ingrosso da un broker pubblico, l'Acquirente Unico, che ha come compito istituzionale proprio quello di approvvigionare energia per i clienti del mercato tutelato.

Conviene o no il regime tutelato rispetto a quello che si può trovare facendo shopping tra i vari fornitori?

Dipende. Le offerte sono le più diverse, possono avere prezzo fisso o variabile sulla base di vari parametri, prevedere o meno prezzi diversi per momenti diversi del giorno o scaglioni di consumo o tante altre opzioni.
Ha senso comprare alle condizioni di "tutela" se non ci si vuol prendere la briga di valutare le offerte sul mercato e simularle sulla base delle proprie aspettative di consumo e di andamento dei parametri a cui si lega il prezzo. Invece, se si ha voglia di cercare opportunità di risparmio e personalizzazione, e di rendersi attivi e vigili per riuscirci, ha senso andare sul mercato.

Il punto è proprio questo: quanti clienti domestici cambiano fornitore consapevolmente? Nello stabile dove vivo ho assistito al passaggio porta a porta di agenti di un noto fornitore che, per convincere i clienti a firmare con loro, compivano varie scorrettezze. La più grave era non spiegare cosa fosse il regime di mercato rispetto a quello tutelato.
Soprattutto le persone anziane o quelle meno informate rischiano di fare scelte del tutto inconsapevoli. E questo forse è il punto che limita il significato dei numeri dell'Autorità: solo un cliente davvero informato, a maggior ragione in un mercato complesso come quello dell'energia, è in grado di indurre i fornitori a offerte davvero competitive.

Un luogo in cui un consumatore domestico può cominciare a informarsi è la sezione dedicata ai consumatori del sito dell'autorità: www.autorita.energia.it.