martedì 5 giugno 2012

Il mito dell'autarchia energetica - D119

Rupert Darwall pochi giorni fa su The Wall Street Journal Europe ha scritto un commento velenoso circa la recente svolta della politica energetica del Regno Unito. Che succede nel Regno Unito? Succede che il governo Cameron sta iniziando a tradurre in norme applicative un documento di indirizzo di qualche tempo fa, che prevede un consistente ripensamento della politica energetica britannica, con introduzione di forme di programmazione prima assenti in quel che è stato di gran lunga il primo mercato energetico europeo a liberalizzarsi, indicando ai tempi la strada al resto dell'Unione Europea.

I punti salienti della riforma inglese sono direi un paio:
1)      La riforma e il potenziamento del sostegno alle produzioni energetiche a bassa emissione di CO2 (nucleare incluso) con anche una carbon tax integrativa all'obbligo di acquisto di permessi di emissione già in vigore in tutt'Europa.
2)      L'introduzione di sistemi di supporto alla realizzazione di capacità di generazione elettrica che superino lo spontaneismo degli investimenti privati in sola risposta ai prezzi di breve periodo dell'energia.
Si tratta di misure che, evidenza Darwall, presuppongono, oltre che la necessità di perseguire in modo più efficace la lotta ai cambiamenti climatici, anche prospettive di prezzi crescenti per l'energia, da cui il bisogno di dotarsi di capacità produttiva prima e più di quanto farebbero i mercati spontaneamente.

Darwall fa un parallelismo tra la scelta inglese e le misure pro-indipendenza energetica del presidente americano Carter nel '77, che – a parte forse alcune reazioni al primo shock petrolifero – furono all'avanguardia in termini di visione pro rinnovabili e pro efficienza energetica (curioso che la Casa Bianca installasse allora pannelli solari sul tetto, in seguito smontati e – scrive Darwall, non più rimontati).
Carter in particolare ce l'aveva con la dipendenza dall'importazione di energia, cosa che forse si legava anche alla divisione in blocchi del mondo di allora. Ma l'autarchia energetica, scrive Darwall, non è meno sbagliata e dannosa di quella in qualsiasi altro settore. Derrick in questo stracondivide: non si capisce, o non del tutto, perché in un mondo globalizzato occorra spaventarsi se si è importatori di energia più di quanto lo si faccia riguardo ad altre importazioni comunque vitali, per esempio beni alimentari, commodity minerarie o chimiche, prodotti elettronici.

Insomma: mi piace Darwall quando stigmatizza il mito dell'autonomia energetica. Ma dietro la logica del governo Cameron, e in generale dietro a quella dell'efficienza energetica e della decarbonizzazione, c'è un tentativo di affrancamento più generale: quello dalle prospettive future di scarsità di fonti energetiche fossili e di qualità dell'ambiente. In questo senso, se d'autarchia si tratta, lo è a livello globale, non regionale o nazionale. Un desiderio al quale conviene attenersi, almeno finché non saremo in grado si colonizzare altri pianeti ricchi di risorse.

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