martedì 24 luglio 2012

Lo Stato azionista dell'energia - D126

Spesso da questi microfoni abbiamo parlato del conflitto di interessi patito da un Governo azionista di aziende dell'energia e nello stesso tempo principale arbitro dei mercati energetici (perché primario legislatore in materia, e non solo detentore del potere esecutivo). E anche nella scorsa puntata, sulla proposta poi archiviata di bloccatariffe nell'ambito della spending review, ci siamo chiesti se le decisioni in proposito siano alla fine state prese più per preoccupazione dei corsi azionari di Eni e Enel che dell'effettiva sensatezza della misura.

Sempre in tema, il 20 luglio scorso è apparso su Staffetta Quotidiana un articolo di Giovanni Battista Zorzoli che mi sembra piuttosto originale, in cui l'autore si concentra sull'effetto non tanto della privatizzazione o della mancata privatizzazione sul conflitto di interessi del Governo, quanto della trasformazione in società per azioni degli ex enti economici pubblici dell'energia, avvenuta con Amato 20 anni fa.
Fa notare Zorzoli che la continua esposizione alla volatilità di mercato del valore delle partecipazioni dell'energia ha un effetto distorcente ma anche bloccante delle decisioni pubbliche. Il bisogno di dividendi, dice Zorzoli, fa il Governo restio a rendere troppo competitivo il mercato ai danni degli ex monopolisti. E questo è un vizio d'origine dello Stato azionista che anche su Derrick abbiamo sempre ricordato, ma su cui non sono molto sicuro che la forma di società per azioni abbia grandi responsabilità. Nel senso che anche un ente economico dello Stato non sul mercato è una fonte di entrate per la macchina pubblica, senza però, nel caso di mancata quotazione, la trasparenza che perlomeno i dividendi di una SpA comportano.
Ma l'avere partecipazioni quotate è anche, scrive Zorzoli, bloccante nei periodi di crisi rispetto a un'eventuale decisione di procedere a ulteriore collocamento sul mercato, perché quando c'è crisi sul mercato le partecipazioni tendono a valere meno per via dei corsi azionari depressi. Quante volte, discutendo di privatizzazioni in tempo di crisi, si sente dire: "come si fa a privatizzare a questi prezzi"?

Mi viene in mente una delle 2-3 lezioni di base che si trovano nelle dispense per risparmiatori domestici: la decisione di vendere un titolo non dovrebbe dipendere da quanto si guadagna o perde rispetto al prezzo precedente, ma dalle aspettative sul prezzo futuro. Nel caso di partecipazioni pubbliche, però, dovrebbe esserci anche dell'altro: quanto benessere possono guadagnare i consumatori da una maggiore terzietà dell'esecutivo nei settori coinvolti?