martedì 25 marzo 2014

Elogio del fallimento - Parte 1 - D197

Scrive Matteo Ferrario:
Risalendo […] nel nostro albero genealogico, era pressoché impossibile trovare qualcuno […] meno in gamba di me.

Oggi e nella prossima puntata a Derrick parliamo di fallimento, nel senso di fallimento economico, di un’impresa o di un’amministrazione pubblica.

Perché esiste l’istituto del fallimento?

Perché il fallimento, che forza una resa dei conti tra i creditori quando la situazione finanziaria (e di norma anche economica) è degenerata, rende palesi le perdite ai soggetti coinvolti e a quelli potenzialmente coinvolti. Un fine di segnalazione dunque.

Perché facendo cessare o commissariando l’attività dell’organizzazione impedisce il protrarsi dello squilibrio economico e limita quindi ulteriori insolvenze.

Perché in caso di liquidazione permette al sistema economico di ricombinare le risorse residue per nuove attività. Come gli elementi chimici di un essere vivente che quando lui muore si ricombinano per formare nuove cellule.

Perché ripartisce l’insolvenza pregressa in modo trasparente e equo tra i creditori.


È tipico però che l’insolvente voglia eludere il fallimento e continuare l’attività anche se insostenibile, aumentando l’esposizione di vecchi o nuovi creditori. Ma ciò equivarrebbe a continuare a bruciare denaro altrui.
Tra attività in dissesto economico che non vogliono fallire ci sono amministrazioni pubbliche come la Regione Lazio e il Comune di Roma.

Che cosa propone di fatto un sindaco che non vuole fallire anche se non ha prospettive di equilibrio reddituale? Propone di salvaguardare l’attuale struttura operativa dell’amministrazione e delle controllate, e i loro dipendenti, parte dei quali hanno approfittato dell’irresponsabilità passata della spesa.
Una salvaguardia a spese dei contribuenti presenti e futuri. Quelli residenti, che dovranno restituire debiti folli con più tasse e meno servizi, e i non residenti che dovranno contribuire a nuove ricapitalizzazioni o trasferimenti straordinari dallo Stato centrale.

Questa operazione è più equa rispetto a fallire e far partecipare al disastro i creditori e passare attraverso un ridimensionamento della struttura? A mio avviso no.

Ma una ragione spesso addotta contro il fallimento è l’interruzione di servizi che ne conseguirebbe. Se Roma fallisce cosa succede ai bus, agli asili e alle scuole comunali? Certamente ci sarebbero disagi. Ma sarebbero molto limitati nel tempo.

La prossima volta approfondiamo.

Il brano in apertura è dal romanzo “Buia” di Matteo Ferrario, edizioni Fernandel, che l’autore presenterà insieme a me questo venerdì 28 marzo alle 18 alla libreria Koob in via Luigi Poletti 2 a Roma.

martedì 18 marzo 2014

La manovra Renzi sull'energia - D196

Renzi ha lanciato, insieme alle sue misure, la promessa di una riduzione del 10% delle bollette energetiche per le aziende medie e piccole da maggio.

Una cosa in tempi così stretti impossibile, a meno che non si faccia un’operazione di maquillage introducendo un bonus straordinario da spalmare successivamente sulle bollette o su altre poste.

Il ministro Guidi, invece, riporta Quotidiano Energia, più realisticamente immagina un’operazione di aggiustamento del sistema degli oneri in bolletta, che dovrebbe passare attraverso una consultazione pubblica, e quindi non certo istantaneo.

Ma veniamo all’obiettivo: far pagare meno l’energia alle piccole medie e imprese. È giusto?
L’opinione di Derrick è che sia meglio non sfavorire né favorire artificiosamente un’azienda di mercato sulla base della dimensione, né di altri parametri. Allo stesso modo credo che sia un errore dare bonus parafiscali a chi è energivoro o ha consumi enormi. E ha di conseguenza già un naturale vantaggio negoziale sul mercato sia perché è un grande compratore, sia perché tende a consumare in modo costante e quindi a impegnare meno le reti a parità di quantità consumata.
Ora, se è vero che alle PMI non ha senso dare un bonus politico, è altrettanto privo di senso danneggiarle artificiosamente come avviene oggi. Il sistema parafiscale delle bollette, infatti, come abbiamo visto tante volte qui, prende dalle aziende e da altri consumatori non energivori e non grandissimi per dare a quelli che invece lo sono e sono nel settore manifatturiero. Un trasferimento che vale più o meno quanto il 10% dei costi energetici delle PMI stimabile complessivamente in 14 miliardi di Euro.

Allora, una volta tanto la soluzione sembra semplice: rimuovere gli aiuti agli energivori e grandi consumatori che attualmente sono pagati in parte cospicua proprio dalle PMI.

In seconda battuta, rimuovere altri sussidi incrociati nel parafisco delle bollette.

Naturalmente si potrebbe invece usare un approccio diverso, nel solco della solita guerra dei sussidi, come Derrick l’ha definita. Si potrebbe cioè introdurre un nuovo trasferimento parafiscale per ridurre le bollette delle PMI. Un sussidio per bilanciare l’effetto di altri sussidi.

Derrick ha un sogno: un mondo dove chi consuma energia paghi tutti i costi attribuibili a quel consumo, ma non il conto di un coacervo contraddittorio di politiche pseudoindustriali messe lì sopra.

martedì 11 marzo 2014

Prezzi elettrici sempre più giù - D195

I prezzi all’ingrosso dell’elettricità italiana in termini reali non sono mai stati così bassi come la scorsa settimana, se non per un breve periodo nel 2005, scrive Energy Advisors.

E nella stessa settimana i prezzi francese e tedesco sono saliti portandosi vicini a quello italiano. Ma pur sempre più bassi di un 10 euro/MWh, che vale grosso modo un quarto del prezzo italiano e che quindi impedisce, se non in casi brevi ed eccezionali, ai produttori italiani di esportare a nord.

Il risultato è il sempre più profondo rosso delle centrali italiane a gas, che sono ormai lontanissime dalla remunerazione dei costi fissi, e per la maggior parte delle ore anche di quelli operativi, e infatti restano perlopiù spente.
La vittima più celebre è Sorgenia, del gruppo CIR, riguardo alla quale i giornali da un po’ riportano di un negoziato per la ristrutturazione del capitale che, se passerà, vedrà le banche ancora più esposte (oggi lo è soprattutto Montepaschi) e con la prospettiva di veder convertito il capitale in azioni, mentre la famiglia De Benedetti sembra disposta a contribuire solo con un aumento di 100 milioni.

Cosa succederà quando gli operatori non potranno più sostenere le perdite sulle centrali a gas? Assodato che una centrale termoelettrica di questo tipo non è convertibile ad altre attività, la chiusura non risolve se non in piccola parte il problema delle perdite, visto che il costo più grosso è quello del capitale da restituire e remunerare. Chiudendo, una centrale risparmia il costo del personale e della manutenzione, che non sono decisivi. Un’alternativa suggestiva ma non certo facile né economica è lo smontaggio dell’impianto e rimontaggio in mercati dove serve. Un’altra prospettiva, forse più probabile, è una riconcentrazione del mercato. Cioè l’acquisto degli impianti delle aziende in difficoltà da parte di aziende di generazione elettrica più solide, le quali possano ricostruire così posizioni di dominanza di mercato tali da riportare i prezzi a livelli remunerativi.

Un esito non molto desiderabile dai consumatori, e verosimilmente non dall’autorità Antitrust. Staremo a vedere.

martedì 4 marzo 2014

Sbanchiamoli - D194

Dico se avete tubi di piombo e pentole di rame anche tubi di rame e pentole di piombo, se avete dei chili di ottone vi do trecento lire al chilo, compro rubinetti di ottone e filo di rame anche rubinetti di rame e filo di ottone, il rame ve lo pago quattrocentocinquanta. Compro anche carta straccia bottiglie usate pelli di coniglio stracci di lana e altri stracci, compro gomma bachelite specchi rotti e sani lampadine fulminate, insomma
COMPRO TUTTO.

Avrete capito che oggi a Derrick si parla di economia.

Radicali Italiani con il tesoriere Valerio Federico ha appena lanciato la campagna “#Sbanchiamoli!”, con una proposta di legge che prevede che le fondazioni bancarie cedano sul mercato tutte le loro partecipazioni nelle banche italiane.

Facciamo un passo indietro. Le banche per la maggior parte prima del 1990 in Italia erano pubbliche e di diritto pubblico. Ma la legge Amato su spinta della normativa europea ha previsto che diventassero società per azioni, il cui capitale non poteva più essere dello Stato, ed è stato quindi conferito a un nuovo soggetto: le Fondazioni Bancarie, la cui natura giuridica si è successivamente evoluta ma che sono sempre rimaste senza scopo di lucro e controllate da enti locali e da altre espressioni pubbliche e private di interessi locali.

Le Fondazioni devono per legge perseguire fini sociali di natura pubblicistica e dal ’99 è stabilito che escano progressivamente dal capitale delle banche, fino alla Finanziaria del 2002 che impone la cessione delle loro partecipazioni che anche solo aggregate esercitino il controllo degli istituti di credito.

Ancora oggi molte banche importanti vedono però quote rilevanti di azioni in mano a gruppi di Fondazioni bancarie. Qui a Derrick abbiamo parlato del caso della Compagnia di San Paolo che ha circa il 10% di Banca Intesa, mentre Fondazione Cariplo ne ha un altro 5%.

Perché questa struttura è un problema e ha senso correggerla?

Perché il credito conviene che vada ai soggetti con gli impieghi economicamente più promettenti. Perché lo Stato dovrebbe perseguire le finalità pubblicistiche attraverso le sue prerogative istituzionali, in primis la redistribuzione economica diretta con il sistema fiscale, e non intervenendo nelle decisioni di società di natura privatistica come le banche, e per di più attraverso l’espressione di interessi locali come con le Fondazioni.

Ma se una S.p.A. (o una banca) persegue finalità diverse dal profitto perché qualche suo grosso azionista ne ha specifico interesse, gli azionisti di minoranza, che insieme sono la maggior quota e invece aspirano ai dividendi della loro partecipazione, ne patiscono, come ha notato Luigi Zingales. Ma soprattutto ne patisce il sistema economico che vede il credito pilotato da motivazioni diverse dalle aspettative di rendimento e sicurezza del capitale prestato.

Che le Fondazioni, con fini filantropici – qualunque cosa voglia dire – e che in pratica sono gli interessi della politica locale, abbiano le mani sul credito italiano è un esempio emblematico di capitalismo inquinato. Di uno Stato che invece di fare lo Stato mette le mani nell’economia privata, e in un modo che difficilmente potrebbe essere più opaco.

Il brano iniziale era da Salto Mortale, romanzo di Luigi Malerba, a cui è dedicato un appuntamento a Roma questo giovedì 6 marzo alle 19.15 alla libreria Altroquando, animato dal gruppo “I libri in testa” che comprende il sottoscritto.