martedì 3 giugno 2014

Pro e contro dell'energia da biogas - Parte 3 - D206

Terza puntata sugli impianti di produzione di energia elettrica da biogas dopo una pausa di due puntate dedicate all’iniziativa di Radicali Italiani e Legambiante #MenoInquinoMenoPago.

Riassunto delle precedenti: gli impianti di cui parlo sono generalmente in zone agricole. Usano gas esito di un processo di digestione anaerobica di materiale organico, come scarti di lavorazione agroalimentare e prodotti agricoli ad hoc, per produrre elettricità e fertilizzante.
Il senso dell’operazione è ridurre alcune emissioni chimiche delle lavorazioni agricole e zootecniche e spiazzare la produzione di elettricità da fonte fossile. Ma le preoccupazioni e opposizioni a questi impianti non mancano. In parte, a mio avviso, sono serie, in parte per niente.

L’altra volta abbiamo trattato il tema della concorrenza tra uso energetico di prodotti agricoli e uso per produzione di cibo, preoccupazione da un lato ideologica dall’altro inutilizzabile (a meno di non voler obbligare qualcuno a produrre cibo anche se può usare in modo più proficuo le sue capacità economiche e non. Io stesso, per esempio, ora sto usando le mie capacità non per produrre cibo: sono per questo un pericoloso speculatore?).

Poi ci siamo occupati dei possibili impatti ambientali locali negativi degli impianti a biogas. Tema questo invece rilevante a mio parere.
Altro spunto da parte dei detrattori: l'uso energetico delle biomasse dipende dal fatto che ricevono sussidi.

Vero. È così per buona parte delle fonti energetiche rinnovabili del mondo. Il carbone è ancora di gran lunga il modo più conveniente per fare energia (anche quello più letale secondo la comunità scientifica e l'OMS oltre che il peggiore in termini di gas-serra emessi). Senza sussidi o politiche di incentivo a fonti più pulite (ma nessuna fonte energetica è del tutto priva di impatto) produrremmo ancora oggi energia quasi solo da carbone, petrolio e gas. Quando spegniamo una centrale da fonti cosiddette alternative, se ne accende una tradizionale (nell'elettricità funziona così, l'elettricità è ancora poco stoccabile).
Certo: è vero che un sussidio a un settore tende a ridimensionarne altri in concorrenza, anche in modo indesiderato. Ma da un lato l’agricoltura tradizionale è anch’essa ipersussidiata, dall’altro questo spiazzamento avviene continuamente e in mille modi nel progresso economico: ogni nuova tecnica di trasformazione e uso delle risorse interviene nel processo di competizione per l’uso delle risorse stesse.

Altro caveat sugli impianti a biogas: potrebbero non avere un bilancio energetico/chimico favorevole. Punto interessante e complicato. Quesito: un impianto a biogas o in generale a biomasse è in grado di ridurre nel complesso le emissioni dannose (in particolare il potenziale-serra di emissioni chimiche come quelle di metano) nell'ambito dell'intera area di territorio da cui riceve la biomassa? In altri termini: è più pulito rispetto all'attività della stessa area in assenza di impianto?
Il bilancio è positivo se lo è il bilancio chimico (e verosimilmente anche energetico). Ma valutarlo non è banale.

E attenzione: come abbiamo visto l’altra volta, se anche il bilancio è positivo ciò non significa che non ci sia un problema di impatto locale negativo nel punto in cui avviene la combustione di biomassa o biogas.

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