martedì 28 ottobre 2014

Elogio della lentezza - Parte 1 - D216

Il mito della velocità, intendo fisica, velocità dei corpi e dei veicoli, che un tempo era futurista, non mi sembra più indice di modernità. Forse dobbiamo farcene una ragione.

Nel traffico aereo negli ultimi anni i principali regolatori del mondo d’intesa con le compagnie hanno apportato modifiche alle regole di volo e di rullaggio con l’obiettivo di consumare e inquinare meno, anche attraverso la riduzione delle velocità di crociera.
I due grandi produttori di jet full-size (Airbus e Boeing) hanno investito non in aerei più veloci, ma con un minor costo operativo per passeggero, da cui i progetti del superjumbo A380 e del B787, quest’ultimo con interventi fortemente innovativi sui materiali e sui servomeccanismi di bordo – con maggiore utilizzo di attuatori elettrici al posto di circuiti idraulici e pneumatici – al fine ridurre il peso dell’aereo.

Vi ricordate il Concorde? Permetteva di risparmiare circa 3 ore tra Parigi e New York, mentre per tratte più lunghe non gli bastava il serbatoio di carburante. Lo usavano i VIP che erano disposti a stare scomodissimi e a guardare fuori da oblò minuscoli, ma i suoi costi non sono mai stati abbastanza coperti dai biglietti e l’investimento, sostenuto da Francia e Gran Bretagna, non è mai stato recuperato nemmeno lontanamente.

Dopo questo bagno di sangue economico, è molto più probabile che io in vita mia possa pagare per andare in orbita, che per viaggiare oltre il muro del suono in un aereo passeggeri.

Nel trasporto ferroviario le cose sono un po’ diverse, ma se consideriamo la levitazione magnetica ad altissima velocità come il Concorde dei treni, è interessante notare che l’unico suo esempio applicativo commerciale in esercizio, in Cina, tra una fermata della metro di Shangai e l’aeroporto, è stato anch’esso un insuccesso economico (ma questo è in parte inevitabile in un prototipo con tecnologie immature seppure in attività commerciale).

Il problema però è cosa investimenti così alti danno in cambio. La navetta di Shanghai, operativa da una decina d’anni, fa 30 chilometri a una velocità massima di 430 km/h (ma è stata testata anche a oltre 500) e una media di oltre 250. Impiega 7 minuti contro i meno di venti che impiegherebbe un normale treno non-stop simile all’Heathrow Express che collega Heathrow con la stazione di Paddington a Londra. Ha senso l’investimento? Stando all’impossibilità appurata di farsi pagare i costi coi biglietti, probabilmente no, se non per le ricadute eventuali della sperimentazione tecnologica.

Riprendiamo la prossima volta a parlare di velocità nei trasporti pubblici.

martedì 14 ottobre 2014

Conferenza globale della tassazione ambientale - parte 3 - D215

Questa è la terza puntata sulla quindicesima conferenza globale sulla tassazione ambientale promossa dall’università di Aarhus che si è tenuta a fine settembre 2014 a Copenaghen e che ha anche visto la presentazione di uno studio del sottoscritto insieme a Marianna Antenucci.

Lo studio si occupa di due cose. Nella prima parte riporta una valutazione dei sussidi dannosi all’ambiente, secondo la definizione OCSE, presenti in Italia. Nella seconda osserva come la presenza di una carbon tax o di un disincentivo economico all’emissione di gas-serra interagisce con il mercato elettrico italiano del giorno prima. Quello in cui i principali operatori della produzione e del consumo di energia elettrica, per ogni ora del giorno seguente, presentano le proprie disponibilità economiche di produzione e di acquisto in modo che il gestore del mercato possa stabilire un prezzo di equilibrio per l’energia di ogni ora, insieme all’elenco dei produttori e consumatori, rispettivamente, chiamati a produrre e che si sono aggiudicati l’energia per il consumo.

Riguardo alla valutazione dei sussidi dannosi all’ambiente (oltre che alle tasche di chi paga tasse e bollette), i numeri sono clamorosi e coincidono con quelli già denunciati nella campagna Radicali Italiani–Legambiente #menoinquinomenopago e ripresi tra l’altro da un articolo del sottoscritto e di Edoardo Zanchini su lavoce.info: oltre 5 miliardi di € nel 2014 di sussidi al consumo di combustibili fossili soprattutto ai trasporti stimati dalla Ragioneria Generale dello Stato, e oltre un miliardo a vantaggio dei grandi o intensivi consumatori manifatturieri attraverso le bollette elettriche.

Riguardo all’effetto sul mercato elettrico di un disincentivo alle emissioni-serra dei combustibili, Antenucci e Governatori mostrano che esso non solo, com’è ovvio, rende meno conveniente la produzione elettrica a carbone (quella con più emissioni), ma favorisce quella di alcune fonti rinnovabili, a causa dell’effetto di rialzo del prezzo dell’elettricità di cui esse si avvantaggiano. Questo però non vale per tutte le fonti elettriche rinnovabili, ma solo per quelle i cui meccanismi di incentivo si aggiungono, ma non la sostituiscono, alla vendita dell’energia sul mercato. Per questo tipo di impianti, concludono gli autori, una carbon tax può essere associata a una riduzione degli incentivi a loro dedicati, senza per questo danneggiarne la redditività.
Morale: non è una bestemmia ridurre anche retroattivamente alcuni dei costosi sussidi alle rinnovabili se nello stesso tempo si introduce una carbon tax.

Slide di presentazione del paper Subsidies to fossil energy consumption in Italy: an assessment with policy recommendations di Marianna Antenucci e Michele Governatori:




Questa puntata di Derrick su Radio Radicale si può ascoltare qui.

martedì 7 ottobre 2014

Conferenza globale della tassazione ambientale - parte 2 - D214

Seconda puntata con notizie dalla quindicesima conferenza globale sulla tassazione ambientale promossa dall’università di Aarhus e svoltasi due settimane fa a Copenaghen.

L’altro giorno ho raccontato dell’esperienza della carbon tax canadese in British Columbia, un esempio di successo in termini di effetti sui consumi di combustibili fossili e di riduzione delle tasse sul reddito. Si tratta di una carbon tax che si applica sui soli combustibili ed è raccolta e trasmessa all’amministrazione dal rivenditore finale. Quindi abbastanza facile da applicare. Più complicata sarebbe un’imposta indiretta sui tutti i beni in base alle emissioni di CO2. A quali emissioni ci si riferirebbe? Quelle per produrre il bene? Per consumarlo? E supponendo quali tecnologie? È chiaro che servono semplificazioni per attuare una carbon tax olistica. E poi applicata in che fase della produzione? Solo sui beni finali?

Secondo David G. Duff dell’Università della British Columbia, anche lui autore di un paper presentato alla conferenza, è immaginabile una carbon tax sul valore aggiunto, che si costruisce come l’IVA e che a ogni transazione su un bene prevede di essere pagata dal compratore e incassata dal venditore, da applicare non però al prezzo dello scambio ma alle emissioni dannose per il clima.
Ma quanto dovrebbe essere grossa una tassa del genere per fornire segnali sufficienti a innescare cambi tecnologici o di abitudini rilevanti? Se torniamo all’esempio semplice di una accisa sui combustibili equivalente a un prezzo della CO2 di qualche decina di Euro, che è anche l’impostazione della bozza di direttiva europea in materia, parliamo di un ordine di grandezza di una decina di centesimi di euro, per esempio, al litro di gasolio. Non poi tanto.

Ma secondo Silvia Tiezzi e Stefano F. Verde dell’università di Siena, anche loro a Copenaghen con i risultati di uno studio basato su dati osservati negli USA, c’è un effetto imprevisto dalla teoria e molto interessante.
Questo: la gente reagisce in modo più forte a un aumento di prezzo di un carburante se sa che è causato da un tassa. Questa sorta di avversione fiscale, secondo Tiezzi e Verde, fa sì che l’elasticità al prezzo dei consumi (cioè la reattività dei consumatori a cambiamenti di prezzo) potrebbe essere sottostimata quando si parla di imposte al consumo, incluse quelle ambientali. Se così è, e nei dati visti dagli autori lo è, l’effetto di scoraggiamento al consumo di una tassa ambientale potrebbe andare al di là delle attese razionali, purché, certo, ci sia adeguata informazione (perché è difficile esplicare avversione per ciò di cui non si conosce l’esistenza, quand’anche sia una tassa).