martedì 29 settembre 2015

Autonomia elettrica domestica: quanto costa? - D251/2

L’ultima volta abbiamo parlato di riforma delle tariffe elettriche di contribuzione agli oneri generali di sistema, e abbiamo visto che si pagherà più in base alla dimensione del collegamento alla rete che ai consumi.
E se io mi stacco dalla rete? Posso risparmiare? Domanda che gli ascoltatori di Derrick si fanno (e mi fanno) sempre più spesso.

Per rispondere ci è prezioso uno studio dell’RSE, l’istituto pubblico di ricerca energetica già altre volte ospitato qui a Derrick, che confronta, per alcune tecnologie oggi disponibili, il costo dell’energia acquistata dalla rete alle attuali tariffe di riferimento domestiche con quello che si avrebbe producendo (e stoccando) energia elettrica da soli, in totale autarchia.
Lo studio integrale non è ancora pubblicato ma Derrick ne ha preso visione, e ce ne parla Luigi Mazzocchi (ingegnere, direttore del dipartimento tecnologie di generazione e materiali di RSE SpA):



La soluzione più economica tra quelle esaminate dal RSE prevede l’abbinamento di un microcogeneratore, cioè un piccolo motore a gas naturale che muove un generatore elettrico da 1,5 kW (sufficiente a far funzionare una lavatrice) e produce calore per gli usi domestici, più pannelli fotovoltaici e una batteria al litio di capacità di 3,5 kWh (sufficiente a un paio di cicli di lavatrice).

Mazzocchi, l’abbiamo sentito, ci ha spiegato che per ora ai consumatori domestici staccarsi non conviene, se non a clienti con consumi molto al disopra di quelli di una famiglia normale. Il maggior costo rispetto a comprare dalla rete potrebbe però essere ridotto non solo dai miglioramenti tecnologici, ma anche dall’eventuale peggioramento delle bollette in caso di aumento ulteriore degli oneri parafiscali. Come dicevamo la volta scorsa, questo è un punto fondamentale: una buona parte dell’incentivo all’autarchia viene non dal livello dei costi di una simile scelta, ma dalla possibilità di non pagare la parafiscalità delle bollette (costi evitati).


Comuni energetiche: quanta autonomia avrebbero?

Mi scrive Lorenzo Busciglio, sindaco di Beinette in provincia di Cuneo, che chiede se sia immaginabile il distacco dalla rete elettrica nazionale di un’intera comunità locale.

Domanda non facile e riguardo alla quale occorrono dei distinguo: per servire una comunità locale di clienti elettrici occorre una rete di distribuzione su cui i venditori di energia possano farla transitare. La gestione di questa rete (cioè l’attività di distribuzione) è affidata per legge in concessione dal Governo e poi regolata dalle norme di settore dell’Autorità per l’Energia. Concessione che quindi la comunità, se volesse essere autonoma, dovrebbe acquisire, sostituendosi nell’area interessata al concessionario uscente non si sa bene come, visto che nuove gare di affidamento non sono all’orizzonte.

E non ritengo che il semplice fatto di non essere collegati alla rete di trasmissione nazionale (cioè il fatto di autoprodursi e stoccarsi l’energia) permetta a una rete locale di considerarsi estranea alle norme sulla distribuzione elettrica. Infatti anche le isole non interconnesse con il continente sono oggi concessionarie del servizio di distribuzione locale (anche se lo operano in deroga a molte delle regole di assetto di mercato che valgono nelle grandi reti locali interconnesse).

Potrebbe essere diverso il caso di una vera comune energetica ad isola: cioè di un unico soggetto che produca e porti energia a vari punti di consumo su una propria rete non collegata ad altre e senza vendere o misurare l’energia. In altri termini: se un comune producesse e fornisse energia ai suoi cittadini senza un corrispettivo ma ripagandosi con le tasse, sarebbe trattato come un distributore elettrico dalle norme? Forse no.


Qualità dell'autofornitura

Tornando al caso di un singolo cliente, abbiamo visto la volta scorsa che l’autonomia costa per ora di più. Ma costi a parte, un sistema autonomo di generazione e stoccaggio di elettricità garantisce la stessa affidabilità? Di sicuro è più complicato e impegnativo avere questi apparecchi in casa che essere un semplice cliente del sistema elettrico.
Sentiamo su questo ancora Luigi Mazzocchi:





Fascino dell'autonomia e rifiuto del mercato?

A me sembra che in questo desiderio diffuso di autonomia energetica ci sia anche una componente per così dire sentimentale: voglia di libertà e autonomia, e anche po’ di avversione (forse ingenua) per le transazioni economiche esplicite e intermediate, come se invece il baratto e l’autonomia ci rendessero più puri. Razionale o no, però, una cosa è abbastanza certa: l’autonomia energetica è già fattibile, e tra qualche anno potrebbe diventare abbordabile.

martedì 22 settembre 2015

Chi pagherà le reti dell'energia? - D250

Chi ascolta Derrick sa che il prezzo dell’energia che paghiamo nelle bollette è solo in parte, e una parte ormai minoritaria, legato ai costi vivi di produzione o approvvigionamento di luce o gas. Anche perché nell’elettricità, che viene ormai in Italia per un terzo da fonti rinnovabili, è crescente la quota di energia che non ha costi di combustibile, bensì fissi, legati alla realizzazione e manutenzione degli impianti stessi.
Poi ci sono gli incentivi alle fonti rinnovabili, sempre pagati come oneri in bolletta, e i costi delle reti, e altri minori. Si possono chiamare parafiscalità perché come nel sistema fiscale coprono spese per servizi e infrastrutture di interesse generale, che in questo caso afferiscono però al sistema dell’energia.

Se però le tasse si pagano sul reddito, questi oneri per la maggior parte si sono finora pagati in base ai volumi di consumo d’energia, benché in modo non progressivo come invece vale per le tasse sul reddito. I grandissimi consumi di energia anzi pagano in proporzione molto meno parafisco nelle bollette di quelli medi.

Ma che succede se uno l’energia se la produce sul tetto di casa o con un microgeneratore autonomo? A norme attuali, dove rilevano i prelievi dalla rete, succede che paga meno paratasse, e contribuisce meno ai costi generali energetici. E siccome l’autoproduzione è in effetti sempre più comune, il problema di sostenibilità economica delle infrastrutture generali si pone.

Il 3 settembre 2015 il ministro dello Sviluppo Economico Guidi ha firmato una risposta scritta a un’interrogazione parlamentare dei senatori Girotto e Castaldi del M5S che criticano una riforma tariffaria avviata dall’Autorità dell’energia che mira proprio a rendere meno legati gli oneri in bolletta ai consumi, e più alla potenza di allaccio alla rete, cioè alla capacità massima di prelievo o immissione.
La proposta di modifica vuol quindi far pagare più oneri non a chi preleva tanta energia, ma a chi ha bisogno di una forte connessione alla rete anche solo di emergenza, in caso di guasto dell’autogeneratore.

Scrive il ministero dello Sviluppo nella sua risposta ai due senatori:
Se tutti i consumatori si autoproducessero l'energia di cui abbisognano pagando gli oneri solo in minima parte, non si capirebbe chi dovrebbe pagare questi oneri. Né si capirebbe chi dovrebbe sostenere la spesa per mantenere e ammodernare la rete elettrica.

La preoccupazione del Governo è comprensibile, ma la soluzione di legare gli oneri alla dimensione della connessione alle reti potrebbe rivelarsi presto inefficace o addirittura controproducente.
Infatti all’autoproduzione elettrica diffusa (che è stata resa possibile prima dai sussidi alle rinnovabili e poi facilitata dal calo dei prezzi degli apparecchi) potrebbe aggiungersi l’autostoccaggio dell’energia attraverso batterie. E quindi la capacità di produrre e consumare non contemporaneamente, affrancandosi dal bisogno di cedere alla rete eccedenze o di prelevarne il disavanzo produttivo. Da cui, la possibilità di staccarsi del tutto dalla rete, e diventare un’isola energetica.

Se questo succederà, e io credo che prima o poi per alcune categorie di consumatori succederà, la platea dei percettori di bollette cui far pagare i costi delle infrastrutture energetiche generali si ridurrà. Comprare un kit di produzione e stoccaggio domestico di elettricità sarà come liberarsi di un po’ di Stato. Se non del fisco, almeno del parafisco energetico.

Un problema di budget pubblico.

Ma un effetto positivo questa minaccia potrebbe averlo: costringere i regolatori a contenere la dimensione del parafisco delle bollette, se vogliono ritardare la convenienza dell’autarchia energetica ed evitare un fuggi-fuggi generale.

martedì 15 settembre 2015

I tempi sempre più bui del nucleare - D249

Poco meno di due anni fa parlammo qui della decisione del Governo inglese di assicurare a Electricité de France 92 sterline al MWh per 35 anni per la futura produzione di elettricità da fonte nucleare dell’impianto da costruire a Hinkley Point. Un prezzo che è più che doppio di quello del mercato all’ingrosso, che in Italia per esempio, passata l’afa di luglio, è tornato sotto i 50 euro.

Sulla decisione inglese protestarono gli ambientalisti di Greenpeace, ma anche produttori concorrenti che ravvisavano un aiuto di Stato illegittimo, perpetrato perdipiù – aggiungo io - proprio nel Paese che inaugurò la liberalizzazione dei mercati europei dell’energia.

La Commissione Europea invece, in quello che a me sembra l’assecondamento di protezionismi nazionali tipico di un organo politico in difficoltà, in questo come in altri casi recenti ha acconsentito agli aiuti. Sono i contribuenti inglesi che però adesso iniziano a preoccuparsi, come riporta la stampa specializzata degli ultimi giorni, tra cui l’utilissimo compendio di Luca Tabasso su Quotidiano Energia da cui riporto:
il senior research fellow di Chatham House Antony Froggatt ha quantificato in oltre 40 miliardi di sterline i sussidi [alla nuova centrale nucleare] […]. Peter Atherton, analista della banca d'investimento Jefferies, ha calcolato […] che i 3.200 MW dei due nuovi reattori [previsti] costeranno come quasi 50.000 MW a gas: "Ciò significa che con la stessa spesa si potrebbe sostituire l'intero parco termoelettrico britannico, per gran parte obsoleto e inefficiente, con cicli combinati di ultima generazione a basse emissioni e alta efficienza", ha dichiarato Atherton al Guardian.
Aggiungo che il nuovo impianto nucleare britannico arriverebbe comunque troppo tardi per evitare almeno parte dei costi dell’ammodernamento del parco termoelettrico cui si riferisce Atherton.

Il Governo inglese dal canto suo ha iniziato a dare segni di ripensamento, facilitati dal fatto che – stando a notizie di stampa recenti - nemmeno ai prezzi pattuiti EDF e il costruttore sempre francese e di Stato Areva sembrano in grado di garantire la fornitura.
Areva che l’anno scorso ha perso 5 miliardi di Euro e che da sette anni non riceve ordini per nuove centrali, come scrive Gero Reuter di Deutsche Welle, e che nei suoi due canteri aperti per impianti con la stessa tecnologia assiste a un lievitare di costi e tempi che sembra senza fine, come abbiamo visto varie volte qui a Derrick.

Un esempio è il nuovo generatore normanno di Flamanville: costerà almeno tre volte quanto avrebbe dovuto, attestandosi sulla decina di miliardi di Euro, e problemi tecnici continuano a rimandarne l’ultimazione.