martedì 22 settembre 2015

Chi pagherà le reti dell'energia? - D250

Chi ascolta Derrick sa che il prezzo dell’energia che paghiamo nelle bollette è solo in parte, e una parte ormai minoritaria, legato ai costi vivi di produzione o approvvigionamento di luce o gas. Anche perché nell’elettricità, che viene ormai in Italia per un terzo da fonti rinnovabili, è crescente la quota di energia che non ha costi di combustibile, bensì fissi, legati alla realizzazione e manutenzione degli impianti stessi.
Poi ci sono gli incentivi alle fonti rinnovabili, sempre pagati come oneri in bolletta, e i costi delle reti, e altri minori. Si possono chiamare parafiscalità perché come nel sistema fiscale coprono spese per servizi e infrastrutture di interesse generale, che in questo caso afferiscono però al sistema dell’energia.

Se però le tasse si pagano sul reddito, questi oneri per la maggior parte si sono finora pagati in base ai volumi di consumo d’energia, benché in modo non progressivo come invece vale per le tasse sul reddito. I grandissimi consumi di energia anzi pagano in proporzione molto meno parafisco nelle bollette di quelli medi.

Ma che succede se uno l’energia se la produce sul tetto di casa o con un microgeneratore autonomo? A norme attuali, dove rilevano i prelievi dalla rete, succede che paga meno paratasse, e contribuisce meno ai costi generali energetici. E siccome l’autoproduzione è in effetti sempre più comune, il problema di sostenibilità economica delle infrastrutture generali si pone.

Il 3 settembre 2015 il ministro dello Sviluppo Economico Guidi ha firmato una risposta scritta a un’interrogazione parlamentare dei senatori Girotto e Castaldi del M5S che criticano una riforma tariffaria avviata dall’Autorità dell’energia che mira proprio a rendere meno legati gli oneri in bolletta ai consumi, e più alla potenza di allaccio alla rete, cioè alla capacità massima di prelievo o immissione.
La proposta di modifica vuol quindi far pagare più oneri non a chi preleva tanta energia, ma a chi ha bisogno di una forte connessione alla rete anche solo di emergenza, in caso di guasto dell’autogeneratore.

Scrive il ministero dello Sviluppo nella sua risposta ai due senatori:
Se tutti i consumatori si autoproducessero l'energia di cui abbisognano pagando gli oneri solo in minima parte, non si capirebbe chi dovrebbe pagare questi oneri. Né si capirebbe chi dovrebbe sostenere la spesa per mantenere e ammodernare la rete elettrica.

La preoccupazione del Governo è comprensibile, ma la soluzione di legare gli oneri alla dimensione della connessione alle reti potrebbe rivelarsi presto inefficace o addirittura controproducente.
Infatti all’autoproduzione elettrica diffusa (che è stata resa possibile prima dai sussidi alle rinnovabili e poi facilitata dal calo dei prezzi degli apparecchi) potrebbe aggiungersi l’autostoccaggio dell’energia attraverso batterie. E quindi la capacità di produrre e consumare non contemporaneamente, affrancandosi dal bisogno di cedere alla rete eccedenze o di prelevarne il disavanzo produttivo. Da cui, la possibilità di staccarsi del tutto dalla rete, e diventare un’isola energetica.

Se questo succederà, e io credo che prima o poi per alcune categorie di consumatori succederà, la platea dei percettori di bollette cui far pagare i costi delle infrastrutture energetiche generali si ridurrà. Comprare un kit di produzione e stoccaggio domestico di elettricità sarà come liberarsi di un po’ di Stato. Se non del fisco, almeno del parafisco energetico.

Un problema di budget pubblico.

Ma un effetto positivo questa minaccia potrebbe averlo: costringere i regolatori a contenere la dimensione del parafisco delle bollette, se vogliono ritardare la convenienza dell’autarchia energetica ed evitare un fuggi-fuggi generale.

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