domenica 18 settembre 2016

Un eroe a Wall Street - D287

Oggi parliamo di una persona che a me sembra un eroe. Si chiama Eric Ben-Artzi, è un matematico prestato alla finanza che lavorava a Wall Street in Deutsche Bank come esperto di valutazione del portafoglio. Con la sua soffiata ha permesso alla SEC, l’autorità di controllo finanziaria americana, di accertare che la banca nel periodo dello scoppio della crisi finanziaria ha nascosto perdite sul proprio portafoglio dell’ordine della decina di miliardi.

Per la SEC (e nemmeno per me) fare la spia non è peccato, anzi con la riforma Obama del monitoraggio dei mercati finanziari (la Dodd-Frank) questo strumento è stato potenziato e oggi nella home page del sito della SEC la prima cosa che si vede è la pubblicità alle ricompense milionarie che l’autorità può dare agli informatori attingendo alle sanzioni che commina grazie a loro.

Ebbene sapete cos’ha fatto Ben-Artzi, annunciandolo sul Financial Times del 19 agosto 2016, che io conservo? Ha rinunciato alla parte che gli competeva di oltre 16 milioni di dollari di ricompensa. Che peraltro gli farebbero molto comodo, come ha scritto in un’intervista sullo stesso giornale, visto che da Deutsche Bank è stato mandato via appena ha detto al suo capo che non avrebbe collaborato alla copertura dei numeri. (Una parte dei soldi, invece, a cui non rinuncerà, scrive di doverli per contratto alla moglie – ora ex - che è stata il suo avvocato nel procedimento – dev’essere stato un periodo burrascoso per il nostro).

Perché Ben-Artzi ha rifiutato i soldi, diventando una celebrità?
Perché si è reso conto che a pagare la multa e quindi anche la sua ricompensa non sarebbero stati i dirigenti responsabili della truffa, ma gli azionisti di Deutsche Bank.

Eric Ben-Artzi
Come mai? Secondo Ben-Artzi la colpa è delle “revolving doors”, le porte girevoli, per cui le stesse persone passano dai posti di comando delle aziende alle agenzie di controllo che vigilano su esse, e viceversa, come è successo anche con Deutsche Bank. Con la conseguenza che le sanzioni vengono sì comminate, ma non a valere sui manager responsabili. Come contro indizio, Ben-Artzi nota che in altri casi di sanzioni a società più piccole e senza questa commistione di dirigenti l’autorità ha invece colpito anche direttamente i responsabili.

Uno potrebbe osservare che se la governance di un’azienda funziona, gli azionisti saranno in grado di rivalersi sui dirigenti. Ma è facile vedere molti casi in cui non è così, a partire da quello Volkswagen che abbiamo seguito qui. È evidente che se i decisori non rischiano nulla, se non di doversi dimettere lasciando i danni alla successiva gestione, e rischiano economicamente solo gli azionisti, l’efficacia delle azioni di controllo è non solo più blanda ma addirittura potenzialmente iniqua. Per lo stesso motivo per cui è da un certo punto di vista iniquo che io paghi con le mie tasse le multe europee se il mio Comune non è capace di differenziare la raccolta dell’immondizia e gli amministratori non subiscono disincentivi specifici.

Chi ha posti di responsabilità è pagato anche per assumersela. Altrimenti ha ragione chi al bar sbraita contro i super stipendi, pubblici e privati. Premesso che io difendo di norma la libertà di un'azienda privata di pagare quanto crede un manager, la competenza da sola difficilmente motiva stipendi enormi, perché richiede investimenti non altrettanto enormi. Il rischio di rispondere personalmente anche solo in piccola parte di danni causati invece sì, è un rischio enorme e può giustificare retribuzioni commisurate.
Avrete letto che la corte dei Conti sta valutando la posizione di alti dirigenti del Tesoro che hanno sottoscritto derivati rivelatisi costosissimi per la finanza pubblica a fronte di un premio positivo alla sottoscrizione. Potrebbe essere un precedente molto importante, qui a Derrick cercheremo di seguirlo.



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