mercoledì 13 dicembre 2017

Emergenza gas dichiarata in Italia il 12/12/17 (Puntata 340 in onda il 19/12/17)

Il 12 dicembre 2017 il ministero dello sviluppo economico ha dichiarato lo stato di "emergenza gas" (che comporta l'attivazione di una serie di misure atte a massimizzare le immissioni sulla rete italiana) in seguito all'incidente in un hub del più importante gasdotto d'importazione per l'Italia, quello su cui transita il gas russo. (Sulla congruità dell'attivazione dello stato di emergenza c'è qui sotto un approfondimento tecnico di Fabio Pedone).
L'evento austriaco si aggiungeva a una parziale indisponibilità dei flussi dal nord Europa (altro gasdotto che passa dalla Svizzera), a una generale scarsa affidabilità e consistenza dei flussi dal gasdotto libico e, negli ultimi anni, a una tendenza al declino dei flussi algerini (quarto corridoio) a causa di scarsi investimenti nei siti produttivi locali. Già nella sera del 12 l'attività del gasdotto austriaco ha iniziato a ripartire e la criticità è rientrata progressivamente fino alla dichiarazione di fine emergenza del 15 dicembre (link sotto).

L'Italia per fortuna è già oggi uno dei sistemi gas più interconnessi d'Europa e uno dei più dotati in termini di capacità di stoccaggio (siti geologici in grado di ricevere gas d'estate e restituirlo in inverno).
L'emergenza però è stata determinata dal fatto che anche a stoccaggi pieni il flusso che essi possono erogare nel breve periodo ha limiti tecnici e potrebbe non bastare in caso di freddo molto acuto, che aumenterebbe i consumi per riscaldamento.
Il sistema, sulla base di dichiarazioni di Snam, che gestisce la rete italiana ad alta pressione, è sempre rimasto bilanciato, anche se il venir meno del gasdotto attraverso l'Austria è sicuramente una situazione critica.
Peraltro il mercato ha risposto correttamente: l'impennata dei prezzi del gas in Italia ha comportato un minore utilizzo del gas a fini termoelettrici, esattamente come deve succedere in un mercato efficiente. 
Anzi proprio il mercato potrebbe forse essere fatto funzionare di più, riducendo alcuni vincoli al flusso in uscita dagli stoccaggi, oggi legati a regole del MiSE che potrebbero essere allentate senza pregiudizio alla sicurezza.

Il valore dell'interconnessione gas

L'episodio, come molti hanno fatto notare, è comunque utile a mostrare la nostra dipendenza ancora alta dalle forniture russe, che si aggiunge a capacità produttiva nazionale in declino, e l'interesse nazionale per la costruzione del TAP, gasdotto transadriatico di iniziativa privata e con successivo ingresso nel capitale della stessa Snam, che permetterà di portare in Italia gas di origine azera, rendendo ancora più diversificato il nostro sistema e dando all'Italia la possibilità di diventare un "hub" del gas per l'Europa, come nella visione della strategia energetica nazionale del 2013.



Approfondimento tecnico: un'"emergenza" dubbia e distorsiva per il mercato
di Fabio Pedone


Il livello di emergenza viene dichiarato, tra le altre cose, al verificarsi “dell’interruzione non prevista di una delle principali fonti di approvvigionamento e nel caso in cui tutte le misure di mercato siano state attuate ma la fornitura di gas sia ancora insufficiente a soddisfare la domanda” (art. 2.3). Di conseguenza il Piano prevede l’attuazione delle misure NON di mercato. In tali circostanze si applica un prezzo di bilanciamento amministrato, pari a 82,5 €/MWh, come stabilito dall’art. 5.4 del Testo Integrato del Bilanciamento (link sotto).

Al contrario di quanto dichiarato dal MiSE, durante la giornata del 12 dicembre sembra proprio che le misure di mercato, come abbiamo visto sopra, abbiano funzionato. Il prezzo del mercato all’ingrosso è salito rappresentando la situazione di scarsità, i consumi termoelettrici si sono ridotti in virtù del prezzo del combustibile eccessivamente oneroso, sono aumentate le importazioni in virtù di spread di prezzo favorevoli. Fortunatamente in serata sono ripresi i flussi di importazione da Tarvisio ma nonostante ciò, al termine del giorno gas il sistema era “corto” di 31 milioni di metri cubi, che il responsabile del bilanciamento ha dovuto fisicamente estrarre dagli stoccaggi e che, nella sessione di mercato (ex-post) MGS del 13 dicembre, ha poi acquistato dagli utenti dello stoccaggio. Se il responsabile del bilanciamento non avesse reperito tali risorse tramite MGS, avremmo potuto affermare che quel gas era stato “tirato fuori” dalle riserve strategiche. E l’utilizzo dello stoccaggio strategico è proprio una misura non di mercato di cui all’art. 4.2.3 del Piano di Emergenza che avrebbe giustificato la dichiarazione di emergenza.

Allora perché dichiarare lo stato di emergenza e non lo stato di allarme?
Il Piano di Emergenza cita al punto 2.2 che lo stato di allarme si può realizzare “in modo improvviso, come nel caso di un’interruzione di una delle principali fonti di approvvigionamento e/o nel caso di eventi climatici sfavorevoli di eccezionale intensità”. Il livello di allarme prevede l’attuazione di una serie di misure nella “responsabilità” del mercato, così come accaduto nella giornata del 12 dicembre, senza che si adotti alcuna misura non di mercato.
Il MISE, diversamente, ha dichiarato lo stato di emergenza ma ha aggiunto che, non essendo stata adottata alcuna misura non di mercato il prezzo di bilanciamento non sarà amministrato.

Ma delle due l’una: o si tratta di emergenza e si applica il prezzo amministrato oppure non si tratta di emergenza. Nel secondo caso, non può non applicarsi il prezzo amministrato. È evidente, infatti, che la dichiarazione del MISE ha creato aspettative di prezzo e di conseguenza delle distorsioni di mercato che non si ci sarebbero state se fosse stata dichiarata, più correttamente, la situazione di allarme.



Link utili:

martedì 12 dicembre 2017

Credere disobbedire combattere (Puntata 339 in onda il 12/12/17)

Ho letto il libro di Marco Cappato, Credere disobbedire combattere, uscito con Rizzoli a ottobre 2017.

Per qualche motivo mi aspettavo di imbattermi in un’autobiografia, genere che mi piace. In realtà ho trovato una cosa diversa: un libro su un metodo, la disobbedienza civile, che si accompagna - non tanto paradossalmente - al rispetto del diritto, e su temi ai quali questo metodo è stato applicato da Cappato e dai suoi compagni politici.
Temi che hanno il filo conduttore direi della libertà, una libertà “concreta” come la definisce lo stesso Cappato raccontando il suo impegno a favore dell’autodeterminazione dei malati terminali sull’interruzione delle cure. Chi nega questa libertà, scrive Cappato, lo fa in nome di una molto ideale libertà assoluta, quella di affrancarsi da scelte dovute a una contingenza dolorosa, e “in nome della libertà assoluta nega il diritto a esercitare una libertà concreta, inevitabilmente condizionata dagli accidenti della vita. Ma la libertà non è mai assoluta”.

Cappato e i Radicali hanno lottato e lottano contro ingerenze incomprensibili o eccessive da parte dello Stato. È la cultura liberale, l’obiettivo di “smontare lo Stato dove non serve (le leggi proibizioniste, con i loro apparati per applicarle) e rimontarlo dove serve (conoscenza, democrazia)”.

Proprio il proibizionismo è un capitolo importante del libro. Il 43% dei detenuti in Italia è in cella per violazione delle leggi sulle droghe, scrive Cappato, comprese sostanze psicotrope non più pericolose di altre legali come alcool e sigarette. E racconta di quando nel 2012, in seguito a una restrizione della libertà degli stranieri di frequentare i coffee shop olandesi, lui con altri si fece bloccare all’ingresso di uno di questi per poi denunciare la natura discriminatoria della norma, fino a farla annullare un anno dopo da una sentenza della corte di giustizia europea.

Un capitolo particolarmente impressionante è quello sulle tecniche di riproduzione assistita e di interventi anche solo diagnostici sugli embrioni, perché è impressionante il livello di arbitrio e insensatezza delle limitazioni della norma che lo riguarda: la legge 40 del 2004. Che tra le altre cose obbligava (prima di una serie di interventi delle corti) alla crioconservazione a tempo indeterminato di embrioni inutilizzati vietandone l’uso a scopi di ricerca.

C’è qualcosa di più stupido che impedire la ricerca scientifica?
Quasi tutti i grandi salti in avanti della scienza comportano problemi di regolamentazione anche profondi e inediti, ma il proibizionismo probabilmente è il modo più autolesionista di affrontarli.

Sul finire il libro tocca uno dei più recenti tra questi problemi, legato alla possibilità dei principali social network, soprattutto Facebook, di gestire grandi masse di informazioni sui loro utenti, e di poterle elaborare tanto da prevedere anche le decisioni di voto. Uno strumento potente per campagne elettorali.
Cappato cita Simon Kuper che dice che nell’era degli algoritmi di elaborazione dati il voto non è più segreto. Un’affermazione a mio parere inutile quanto quella di uno che si lamenti con un amico che lo conosce bene, e lo sa interpretare, che per lui i suoi pensieri non sono più un segreto. Un conto è diventare prevedibili, un conto perdere la possibilità di determinare la propria scelta in modo diverso dalle previsioni (certo: scelta condizionata, e qui torniamo al discorso sopra sulla libertà inevitabilmente, antropologicamente incompleta).
Pensare di limitare l’uso di tecnologie nell’elaborazione dei dati sarebbe simile al pensarlo riguardo alla ricerca sugli embrioni. Qui il problema, se mai, è di nuovo una questione di regole liberali: la necessità di impedire a qualcuno di sfruttare un monopolio danneggiando la società.


Credere disobbedire combattere, di Marco Cappato, Rizzoli, è un libro appassionante e limpido su perché hanno senso le idee radicali e liberali del suo autore e dei suoi compagni di politica. Un libro per me molto utile, che consiglio a tutti e regalerò a molti.

sabato 2 dicembre 2017

Le camminate (im)possibili IV - Aeroporto di Zurigo (Puntata 338 in radio il 5/11/17)

Per la serie “Camminate (im)possibili” qualche tempo fa ho sperimentato e raccontato qui (link sotto) un percorso a piedi dall’aeroporto internazionale di Fiumicino a un centro commerciale a pochi chilometri di distanza, e constatato quanto le infrastrutture stradali non fossero concepite per permettere un simile spostamento in sicurezza, né in uscita dall’aeroporto né tra il centro commerciale Da Vinci e la pur vicinissima stazione ferroviaria di Parco Leonardo.
Percorso a piedi da Nord (aeroporto di Zurigo) verso Sud

Il 30 novembre 2017 approfittando di una trasferta di lavoro ho ripetuto l’esperimento di uscita pedonale da un aeroporto verso la città. Stavolta dall’aeroporto di Zurigo. Volevo vedere se i luoghi comuni sulla Svizzera ben organizzata e attenta all’ambiente – e quindi si presume ai pedoni – fossero almeno in questo caso confermabili.

Lo dico subito: purtroppo per noi, sì.

Vediamo i dettagli: il mio obiettivo era lasciare il terminal dell’aeroporto e raggiungere Glattpark, una zona residenziale e amministrativa in direzione del centro città, nell’area della cittadina-satellite di Opfikon, con destinazione un hotel a circa 5 chilometri dall’aeroporto.

Dunque esco dal terminal e con l’aiuto di Google maps vado verso Sud-Est costeggiando la zona dove si prendono i taxi. Inizialmente sono un po’ spaesato: non vedo indicazioni pedonali, temo di finire in qualche accesso ad aree tecniche senza transito.
Invece il marciapiede prosegue e dopo un centinaio di metri sono a un incrocio di piste ciclabili e pedonali con indicazioni specifiche per varie destinazioni.
Da lì in poi non faccio che percorrere piste ciclopedonali, inizialmente lungo la carreggiata verde di un tram (alternativo al treno) che collega l’aeroporto con il centro di Zurigo, carreggiata che poi attraverso tramite un passaggio a livello specifico per cicli e pedoni (è il primo che vedo in vita mia).

Passo quindi davanti a un edificio industriale con grandi vetrate che ha tutta l’aria di essere la centrale termico-energetica dell’aeroporto. Proseguo su pista lungo un’arteria stradale, dove un sottopasso permette di superare l’incrocio con una superstrada nei pressi dell’hotel Hilton, ma proprio qui – orrore – trovo in una scarpata piccole tracce di rifiuti gettati forse da ciclisti in corsa, che mi affretto a documentare con foto. Ormai il tramonto è passato (ma il disco solare già prima era dietro alle nubi). Fa un po’ freddo ed è prevista neve a breve: allungo il passo fino al mio hotel.

Trovare i rifiuti (ci sono!)
Dunque. L’esperimento dice che non è così impensabile combinare lo spostamento a piedi o in bici con un viaggio aereo. Pur di trovarsi nel posto giusto.

Gli altri episodi delle camminate (im)possibili sono qui.

domenica 26 novembre 2017

Le camminate (im)possibili III (Puntata 337 in onda il 28/11/17)

Ho ricevuto segnali di interesse verso un paio di vecchie puntate di Derrick in cui facevo il reportage di miei spostamenti a piedi tra luoghi molto frequentati della periferia romana. Percorsi che moltissimi pedoni suppongo avrebbero interesse a fare ma che la città non sembra progettata per assecondare, oppure che per pigrizia o cultura non vengono tentati.

In rosso, con partenza dal basso, il percorso a piedi.
Bene, questa è una nuova puntata della serie, e stavolta la sfida è particolarmente semplice: andare a piedi a Roma dalla fermata della metro B di Ponte Mammolo alla sede degli uffici di Terna, il gestore della rete elettrica d’alta tensione in via Galbani 70.

Un chilometro scarso in linea d’aria nella periferia nordest della città, vicino a dove la via Tiburtina incrocia il fiume Aniene.


Affronto il tragitto il 23 novembre 2017 approfittando del sole e di una riunione di lavoro a Terna, e vi dico subito l’esito: a differenza dei casi precedenti, stavolta non trovo mancanza di infrastrutture pedonali. Nessuno svincolo automobilistico non protetto da percorrere o attraversare, nessun cul de sac, nessun guardrail da scavalcare. Solo rifiuti e stato d’abbandono dei percorsi pedonali esistenti, e la sensazione d’essere l’unico in chissà quanto tempo ad avventurarmi col semplice fine di transito e non per trovare rifugio o gettare rifiuti.

Dunque esco dalla fermata ponte Mammolo, con le sue bancarelle, e verso Nord raggiungo l’arteria viale Togliatti che da queste parti fa un evidente tornante per connettersi
         La Chevrolet Corvette dell'86         
alla Tiburtina, tornante che come vedremo è reso meno utile dalla chiusura di uno svincolo, tanto che il tratto appare trasformato più che altro in parcheggio per chi prende la metro. Il marciapiede c’è e costeggia una scarpata piena di rifiuti. Lo percorro fino al tornante, nei pressi di un piazzale con un carrozziere dove ammiro una Chevrolet Corvette del 1986 in vendita, bianca con strisce blu. Peccato il parabrezza incrinato.
Mi tornano ricordi di quando ventenne mi aggiravo in piazzali vagamente western di sfasciacarrozze, temendone i cani da guardia, per cercare ricambi d’occasione per la mia Fiat Ritmo rossa dell’84.

Foto di Derrick, 2017
Un bus e auto in vendita fermi sullo svincolo chiuso
in uscita dalla Tiburtina

Torno in me e lascio il carrozziere verso lo svincolo in uscita dalla Tiburtina che pur apparentemente integro è chiuso al traffico, tanto che il suo tratto finale sembra usucapito dall’autocarrozzeria, con addirittura un bus gran turismo in sosta forse in attesa di cure. Mi sembra un caso evidente di infrastruttura pesante fatta e poi abbandonata.

     Il fiume Aniene e, a destra, gli orti     
Risalgo lo svincolo fin dove si stacca dalla Tiburtina (punto in cui è chiuso con blocchi di cemento) nei pressi del ponte sull’Aniene, fiume che là sotto scorre tra detriti e vegetazione rigogliosa, con una discarica di rifiuti gettati dal viadotto da un lato, e orti dall’altra parte.

Rifiuti sulla riva destra dell'Aniene
sotto lo svincolo chiuso
Sempre in percorso pedonale abbandonato e pieno di rifiuti, ma esistente, raggiungo la vasta via Furio Cicogna, poco attraente seppur costeggiata da verde e marciapiedi da entrambi i lati, e la percorro lungamente verso Nord-Ovest.

Dal lato dell’Aniene tra la vegetazione incolta dev’esserci un sentiero, disperatamente segnalato come “ciclabile” da due grandi cartelli in legno il cui artefice, se ci fosse un paradiso, lo meriterebbe. Dall’altro lato c’è invece un vero e proprio parco pubblico recintato, dall’aria ben tenuta e delimitato sulla strada perfino da qualche palma, per quanto malaticcia.
Via Cicogna incrocia via Galbani a poche centinaia di metri dalla mia destinazione.
"SENTIERO CICLABILE" recita il cartello
Ma il percorso ha ancora in serbo qualcosa per me: il museo archeologico comunale di Casal de’ Pazzi, dotato credo di percorsi interattivi per giovani, che se non fossi atteso alla mia riunione visiterei.

“Come sei venuto?” chiede una collega quando sono già nei corridoi di Terna.
“A piedi dalla fermata di Ponte Mammolo” rispondo.
“Solo a te vengono in mente certe idee” fa lei.
Già, ma mi chiedo perché siano idee così poco comuni.


Link utili

domenica 19 novembre 2017

L'elettricità del futuro (Puntate 282 e 336)

Qui a Derrick periodicamente diamo conto di nuovi studi sugli scenari energetici globali. Questo periodo dell’anno in particolare è quello in cui esce l’outlook della IEA, l’agenzia indipendente di Parigi. Vediamone qualche tendenza interessante: 
  • Il mondo avrà sempre più bisogno d’energia (30% in più di oggi nel 2040 quando saremo 9 miliardi d’abitanti) la quale sarà sempre più usata in forma di elettricità. Solo l’Europa, notevolmente, il Giappone e leggermente gli Stati Uniti contrarranno i propri consumi. L’aumento dell’India varrà da solo 5 volte il risparmio europeo.
  • La domanda di petrolio, che dipende soprattutto da consumi non elettrici, aumenterà ancora per tutto il periodo considerato, anche se a un tasso decrescente. Gli USA dal 2020 saranno esportatore netto anche di petrolio e non solo gas, grazie alla sopravvivenza dell’industria dello shale oil e gas (cioè gl’idrocarburi di scisti) al periodo recente di prezzi bassissimi.
  • D’altra parte l’elettricità verrà prodotta sempre più da fonti rinnovabili, il 40% nel 2040 (livello che in Italia è già raggiunto), grazie all’impressionante calo dei costi. La parte del leone, soprattutto fuori dall’Europa, la farà il solare fotovoltaico.

40% di penetrazione delle rinnovabili nel 2040 non è un obiettivo estremamente ambizioso, tanto che la IEA immagina anche uno scenario di maggior impegno nella riduzione delle emissioni-serra, scenario nel quale il mondo sarebbe in grado di fare meglio. Dipende dalle politiche, naturalmente.
Se le politiche coerenti vengono attuate, il mondo può addirittura produrre tutta l’elettricità da fonti rinnovabili senza aspettare troppo. Si tratta di un’affermazione non nuova, e che in particolare di recente è stata illustrata in uno studio di Energy Watch Group, una non-profit tedesca, in collaborazione con il politecnico di Lappeenranta, in Finlandia. Secondo lo studio, emettere zero CO2 nella produzione elettrica del 2050 richiederebbe un mix di generazione quasi al 70% basato su fotovoltaico e un’enorme quantità di batterie installate per far fronte all’intermittenza delle rinnovabili.

A quali costi? Sempre secondo lo studio tedesco e finlandese, l’elettricità tutta rinnovabile costerebbe comunque meno di quella attuale, con un costo medio futuro di generazione di 52 €/MWh contro quello medio del 2015 stimato in 70.

Attenzione, non stiamo parlando di consumi energetici interamente carbon free, ma solo (si fa per dire) di una produzione interamente rinnovabile di elettricità, la quale, pur costituendo una fetta sempre più importante dei consumi energetici finali, non riuscirà nemmeno nel 2050 a coprire l’intero fabbisogno degli usi, per esempio, di trasporto e riscaldamento.


Link utili



Archivio: la puntata 282 di giugno 2016 sullo stesso tema

Da dove verrà l’energia elettrica del futuro? Il 13 giugno [2016] è uscito il nuovo numero di un outlook di Bloomberg New Energy Finance (BNEF) di cui parla diffusamente, tra gli altri, un articolo di Karen Beckman sull’Energy Post.
Rapporti di questo tipo non li definirei propriamente “previsioni”, se mai esercizi di scenario che quasi sempre si basano anche su ipotesi sulle politiche pubbliche da cui dipendono i numeri stessi. Politiche influenzare le quali è per giunta obiettivo di questi studi…
Detto questo, vediamone le conclusioni più rilevanti secondo Derrick:

  1. Gas e carbone continueranno a costare industrialmente poco, e con loro costerà poco l’elettricità prodotta usandoli, al netto di politiche per internalizzarne i danni ambientali. Si tratta di una tendenza a cui ci stiamo già abituando e che si vede da un po’ nella componente energia, sempre più magra, delle nostre bollette.
  2. Anche i costi di produrre energia da sole e vento scenderanno. Entro il 2030 queste tecnologie saranno le più economiche per produrre elettricità in quasi tutto il mondo. L’eolico di terra, già oggi la fonte rinnovabile elettrica più economica, costerà oltre un terzo in meno che oggi in media, fino a raggiungere nel 2025 secondo lo studio i 5 centesimi di dollaro al kWh. Il solare fotovoltaico addirittura dimezzerà i prezzi e sarà solo di poco meno economico. Attenzione però: le ipotesi dietro questi numeri sono inevitabilmente opinabili, soprattutto perché i trend tecnologici potrebbero avere discontinuità che oggi non immaginiamo, e perché i costi – sostanzialmente di investimento – di queste fonti dipendono molto da variabili macroeconomiche come i tassi di interesse, che sono esogene rispetto allo studio.
  3. L’Asia e le aree del Pacifico da sole saranno la sede della maggioranza degli investimenti in generazione elettrica.
    Il nuovo quartere di Porta Nuova a Milano
    visto da Derrick dall'ultimo piano di Palazzo Lombardia
  4. Le auto elettriche faranno il boom e nel 2040 avranno il 35% di quota di mercato secondo l’outlook del BNEF tra i veicoli da trasporto leggero su gomma. Questo avverrà in parallelo con lo sviluppo di batterie economiche rispetto a oggi.
  5. Nella produzione di elettricità secondo l’outlook non ci sarà un boom del gas in attesa della decarbonizzazione (invece anticipato negli anni scorsi dalla IEA). Ci sarà invece una crescita del carbone trainato in primis dall’Asia (India in particolare) e dall’Africa, in completa divergenza rispetto al forte calo in Europa determinato dalle politiche locali. (L’ipotesi naturalmente è che nei Paesi in via di sviluppo i consumi totali di energia aumenteranno di molto, questo rende compatibile il boom del carbone con quello delle rinnovabili).
Infine, la brutta notizia: la tendenza naturale degli investimenti in generazione elettrica, quella descritta in questi punti e che lo studio quantifica in oltre 9 mila miliardi di dollari, non sarà sufficiente a garantire il contenimento dell’aumento della temperatura globale in due gradi rispetto al livello preindustriale. Per raggiungere l’obiettivo, servirebbero oltre 5 mila miliardi in più entro il 2040 per stare sotto le 450 parti per milione di CO2 in atmosfera considerate soglia massima di sicurezza dall’ONU.

martedì 14 novembre 2017

Distribuzione degli oneri in bolletta (Puntata 335, su Radio Radicale il 14/11/17)


Oggi torniamo su un tema che abbiamo già visto in passato ma di cui è utile seguire le evoluzioni: gli oneri generali nelle bollette elettriche, quelli non strettamente dovuti all’approvvigionamento della materia prima energetica. Quanto pesano? E in che modo le varie categorie di consumatori vi contribuiscono?
Ci occupiamo in particolare di due famiglie di oneri: quelli per la realizzazione e mantenimento delle reti, e quelli per l’incentivo alle fonti rinnovabili.

Cavi elettrici a Santiago de Cuba
(agosto 2015) di Laura Zigiotti
Tra il 2011 e il 2017, la variazione delle componenti tariffarie nella bolletta domestica tipo ha mostrato un aumento del peso delle componenti regolate, cioè gli oneri di rete sostenuti per il trasporto dell’energia e per la gestione del contatore, sia stato superiore all’aumento del peso della parafiscalità per le rinnovabili, cioè gli incentivi pagati tramite i cosiddetti oneri di sistema. In numeri, nella seconda metà del 2016, tali sussidi rimangono comunque superiori ai costi di rete di tre punti percentuali, pesando rispettivamente per il 22 e il 19% della bolletta.

Nel 2016, i costi per la gestione della rete sono stati sopportati prevalentemente dalle utenze domestiche, che hanno pagato il 42% di questi prelevando dalla rete poco più del 20% dell’elettricità. Hanno contribuito in misura minore le piccole e medie imprese, i clienti industriali in media tensione, e le industrie allacciate direttamente alla rete nazionale, ciò è coerente con il fatto che i domestici usufruiscono di più servizi di distribuzione rispetto a un’azienda manifatturiera in alta tensione.

Anche la distribuzione degli oneri per l’incentivazione delle rinnovabili avvantaggia i grandi consumatori, ma con una logica degressiva in parte differente, che premia i grandi consumatori: all’aumentare dei prelievi di energia diminuiscono gli oneri dovuti per unità di consumo. In questo caso sono le utenze non domestiche in bassa e media tensione a pagare la quota più alta, vale a dire le piccole e medie imprese, che verosimilmente non hanno consumi sufficientemente alti da garantirsi sconti sui contributi agli incentivi per le rinnovabili.

Dunque i 15,8 miliardi di oneri di sistema e i circa 12 miliardi di oneri di rete del 2016 hanno gravato in maniera non direttamente proporzionale rispetto ai consumi di energia, mostrando che la categoria che beneficia maggiormente dall’attuale meccanismo è quella dei grandi consumatori.

La degressività sugli oneri per le rinnovabili è destinata ad essere superata a breve, per essere però sostituita da un rafforzamento del meccanismo di sussidio ai clienti energivori, cioè alle aziende con un’incidenza elevata dei costi energetici su quelli operativi complessivi.
Peraltro gli incentivi alle rinnovabili nel 2017 sono entrati nella fase calante, diminuendo di quasi due miliardi rispetto all’anno precedente.
Ma dato il trend di aumento della tariffa di rete che ha caratterizzato gli ultimi anni, che si spiega in parte dalla necessità di integrare sempre più impianti rinnovabili in rete, rimane un’incognita se le minori spese per avere energia pulita si potranno effettivamente concretizzare in una riduzione della bolletta per il cliente domestico o se verranno invece neutralizzate dal costante aumento dei costi per trasportare e distribuire elettricità.

Naturalmente, anche se non ci fosse alcun risparmio economico a lungo termine dalla transizione alle rinnovabili, il bilancio di questa transizione sarebbe comunque strapositivo, visto il vantaggio in termini di messa di sicurezza ecologica del sistema energetico nel frattempo operata.


Link utili:

domenica 5 novembre 2017

Esportiamo elettricità (Puntate 291, 300, 334)

Qualche luogo comune sull’energia sta per essere sovvertito.

Il presidente di Confindustria chiudendo col suo intervento a Capri la convention dei giovani industriali 2016 ha detto che le aziende italiane continuano a pagare l’energia più di quelle tedesche.
Rispetto alle grandi aziende manifatturiere energivore, non è vero. Esse hanno prezzi perlopiù allineati e sia da noi sia in Germania sono sussidiate: in Italia prevalentemente a spese delle bollette delle aziende più piccole e non manifatturiere (e quindi se mettiamo insieme tutte le imprese Boccia ha ragione), in Germania a spese delle bollette domestiche.

Un altro luogo comune, questo fino a ora fondato, è che l’Italia sia un paese fortemente importatore di elettricità.
Un motivo importante per cui è stato a lungo così è che la Francia, a cui siamo molto interconnessi, produce prevalentemente da nucleare. Una tecnologia complessivamente costosa ma i cui costi sono perlopiù fissi e non legati al volume della produzione, con prezzi per unità d’energia quindi di norma competitivi sul mercato all’ingrosso rispetto a quelli italiani.
(Un cittadino francese potrebbe chiedersi perché con le sue tasse debba mantenere centrali che sono servite a lungo ad abbassare il prezzo dell’energia in Italia).


Inverno 2016-2017

Il guaio è che le centrali nucleari francesi sono sempre più vecchie. Molte andranno sostituite, e molte in questo periodo sono sottoposte a interventi di manutenzione massicci, anche in seguito alla sconcertante scoperta della falsificazione di documenti sulla resistenza dei materiali da parte di fornitori di parti delle macchine. Il risultato, all'inizio di ottobre 2016, è stata una capacità produttiva transalpina mai così bassa dal 1998.
Il prezzo all’ingrosso dell’elettricità oltralpe ne ha risentito passando nell'autunno 2016 in pochi mesi da 30 a 70 €/MWh, superando quindi quello italiano che prima si aggirava sui 40 € e che, trascinato dalla Francia, ha poi avuto fiammate fino a 60. Nell'inverno successivo la situazione si è esacerbata a causa dei consumi elettrici per il riscaldamento francese, portando spesso i prezzi d'oltralpe oltre 100 €/MWh e i nostri oltre 80.

Traliccio elettrico sulle montagne di Cogne
fotografato da Derrick
Cosa succede tra due mercati collegati?
Succede che quello con i prezzi interni più bassi esporta. E così, il flusso dell’energia tra Italia e Francia si è recentemente spesso invertito rispetto al solito, rendendo l'Italia esportatrice.

Un altro effetto dell'interconnessione tra mercati è che i prezzi tendono ad allinearsi, alzandosi nel mercato che esporta e abbassandosi in quello che importa.
E così anche la battuta che facevo prima riguardo ai francesi s’inverte: chi normalmente da noi si lagna del fatto che importiamo elettricità sarà felice di pagarla più cara nei periodi in cui la esportiamo

I Radicali dai tempi della prima strategia energetica nazionale (ora in procinto di essere aggiornata), ma soprattutto da quelli di Chernobyl con Marco Pannella, sostengono che il nucleare non è una soluzione conveniente per produrre elettricità, e l’esperienza recente sembra dar loro ragione. Centrali con enormi costi di investimento, poco flessibili e scarsamente gestibili in una logica di mercato, e pressoché mai finanziabili senza garanzie pubbliche.
La Francia e i suoi consumatori stanno pagando care le difficoltà tecniche ed economiche di rinnovare il proprio parco, che è vecchio e può continuare a funzionare solo a fronte di verifiche severe da parte della locale autorità per la sicurezza nucleare.
(Una parte importante dei problemi di adeguatezza produttiva francese è emersa anche a causa della rigidità dell'inverno 2017, che ha aggiunto alla domanda elettrica quella da riscaldamento. La punta di consumo transalpina avviene infatti in inverno e non a luglio come da noi per i condizionatori, con un picco di domanda complessivo quasi doppio del nostro, che senza riscaldamento elettrico sarebbe invece più o meno allineato).

Ebbene, come reagisce il nostro sistema elettrico, fortemente interconnesso a oltralpe, a questo scenario?
Usando le flessibilità che a differenza di altri ha a disposizione: centrali a gas che possono accendersi usando la notevole capacità di importazione del gas di cui l’Italia dispone e di cui disporrà sempre di più stando agli investimenti già in corso di attivazione. La conseguenza è come abbiamo visto un incremento dei prezzi italiani di breve periodo sia dell’elettricità sia del gas, non però quanto quelli francesi nei momenti di scarsità. Addirittura il 24 gennaio 2017 perfino in Germania i prezzi hanno per un po’ superato i 100 Euro al MWh, mentre in Italia la media nazionale si è assestata in quel periodo poco sopra gli 80 Euro/MWh.

Insomma, i fatti dell'autunno-inverno 2016-2017 sembrano dar ragione alla strategia energetica italiana, che ha puntato su gas e flessibilità, oltre che sulle rinnovabili.
Ci si può aspettare che anche in futuro ci sia spazio perché l’Italia operi come esportatrice d'elettricità? Guardando i prezzi a termine (cioè dei contratti finanziari o fisici riferiti all'elettricità in Italia nei prossimi anni) si direbbe, al momento di questo articolo, di no.
Il motivo è che almeno per un po' il sistema produttivo elettrico italiano continuerà ad avere costi variabili (che non vuol dire totali) più alti rispetto a quelli dei Paesi vicini.

D'altra parte è vero che i prezzi a termine nel periodo di questo articolo continuano a essere bassi per l’Italia, per esempio nella principale borsa elettrica europea (la tedesca EEX), indicando aspettative di scarsa domanda futura per la produzione italiana. E prezzi a termine bassi sono un'opportunità di arbitraggio che qualcuno dall'estero potrebbe cogliere di qui ai prossimi anni comprando contratti d'energia in Italia. Ma si tratta di indicazioni di prezzi futuri basate su piccoli volumi scambiati, che potrebbero quindi rivelarsi poco significative.

Di certo, i tempi del blackout (quello nazionale intendo, e non mi riferisco al recente disastro delle reti abruzzesi sotto la neve) sono molto, molto lontani.


Aggiornamento: verso l'inverno 2017-2018


Gl’indizi per l’inverno 2017-18 sembrano andare nella stessa direzione del precedente, anzi peggio, a causa della siccità non solo estiva, ma anche fino a tutto il mese di ottobre 2017, che affligge i bacini idroelettrici alpini e ancora di più quelli appenninici. A settembre i primi, come ha scritto Jacopo Giliberto sul Sole 24 ore il 2 novembre 2017 riportando dati Terna, erano riempiti a poco più della metà della loro capacità idrica, e i secondi a poco più di un terzo, record negativo dal 1970.

Questo significa che al possibile picco di importazione da parte della Francia nel 2018 l’Italia potrebbe essere meno preparata a causa della minore capacità idroelettrica.
Va molto meglio nel settore della generazione a gas, dove le centrali termoelettriche, così come tutti gli utilizzatori di gas naturale in Italia, possono contare su una batteria di stoccaggi geologici pressoché pieni fino all'autunno 2017, cioè all’inizio della stagione di erogazione, quella in cui i serbatoi iniziano a dare gas anziché riceverlo come in estate.
E sarà capacità di cui c’è bisogno, visto che in Francia gli interventi ad alcune delle centrali nucleari al momento di questo articolo ferme stanno prendendo più tempo del previsto, compresi quelli in una diga nei pressi dell’impianto di Tricastin, a nord di Avignone. Un impianto di un migliaio di MW di potenza costruito negli anni ’70 e operativo dagli ’80, già teatro di due incidenti relativamente gravi nel 2008, con perdita nell’ambiente di uranio e di particelle radioattive. In seguito ai quali un consorzio viticolo della zona ottenne di togliere il toponimo “Tricastin” dal suo vino per contrastare il calo delle vendite successivo agli incidenti.

martedì 31 ottobre 2017

Economia alla convention Stati Uniti d'Europa: una sfida Radicale (Puntata 333 in onda il 31/10/17)

Mentre è in corso a Roma il congresso di Radicali Italiani, si è da poco chiusa sempre all’Hotel Ergife una convention di due giorni organizzata da Emma Bonino e Radicali Italiani, chiamata Stati Uniti d’Europa: una sfida Radicale, riascoltabile su Radio Radicale. I lavori sono stati in parte suddivisi in commissioni e qui parlo di quella su politica fiscale e riforme strutturali, moderata da Marco de Andreis e dal sottoscritto.


Proposta di Radicali Italiani per la finanza pubblica italiana

De Andreis ha aperto i lavori descrivendo gli aspetti essenziali della proposta di Radicali italiani per una politica fiscale nella prossima legislatura, e cioè:
  • Congelamento spesa al livello nominale 2017
  • Riduzione IRPEF a metà legislatura: tre aliquote, rispettivamente al 20 per cento (per i redditi fino a 40 mila euro l’anno, no tax area per i redditi fino a 8 mila euro), 30 per cento (tra 40 e 60 mila euro) e 40 per cento (oltre 60 mila)
  • Riduzione aliquota IRES (imposta sugli utili delle imprese) al 20%. 

Da dove arriverebbero le risorse? Oltre che dal congelamento della spesa (che ne implica una seppur piccola riduzione reale):
  • Dall’eliminazione del regime agevolato IVA 10%
  • Dalla cancellazione di misure di spesa fiscale (in particolare bonus particolari a investimenti e cuneo fiscale, facilitazioni prima casa e sussidi dannosi all’ambiente). 


Il parere degli esperti

Veronica de Romanis, professoressa alla Luiss, è stata tranchant: basta bonus, abbassiamo piuttosto le tasse per tutti. Anche perché le tasse alte hanno prodotto politica di spesa lassista anziché investimenti e riduzione del debito. Lorenzo Codogno, professore alla London School of Economics, è d’accordo e mostra come dal 2013 l’avanzo primario strutturale dello stato italiano venga costantemente eroso per finanziare spesa corrente, rendendo meno credibile la riduzione del debito. Riduzione che però è indispensabile mostrare di essere capaci di fare se vogliamo che i titoli del nostro debito vengano comprati sui mercati quando non sarà più la BCE a farlo. E se non iniziamo il percorso finché il quantitative easing e il trend dei prossimi titoli in scadenza è favorevole in termini di interessi, quando lo faremo?
Nemmeno a Stefano Micossi del Centre for European Policy Studies piace la legge di Stabilità com’è impostata. Micossi condivide la necessità di mettere mano alla spesa fiscale e in particolare di cancellare il regime di privilegio dell’IVA al 10%, ingiustificabile in termini di logica economica. Alfredo Macchiati, infine, ci ricorda come vari osservatori autorevoli consiglino all’Italia di tassare meno le persone (cioè i redditi) e di più le cose: consumi e patrimoni. Magari attuando finalmente la volontà del Parlamento: una revisione fiscale in termini ecologici, iniziando almeno col tagliare i sussidi dannosi all’ambiente.


Link utili:




martedì 24 ottobre 2017

La brexit dell'energia (Puntata 332, in radio il 24/10/2017)

La brexit del governo May di Londra sembra riguardare anche le regole e la stessa filosofia del mercato dell’energia. L’esecutivo britannico infatti ha annunciato di recente l’istituzione, benché temporanea e non di immediata applicazione, di un tetto alle tariffe domestiche dell’energia.

E pensare che la Gran Bretagna è stata un laboratorio di liberalizzazione dell’energia, attuata già a partire dalla fine degli anni Ottanta e con strumenti drastici (poi applicati nell’elettricità anche in Italia con il decreto Bersani una decina di
Scalinata fotografata
da Derrick a Vienna
nel novembre 2016
anni dopo) come lo spezzettamento forzoso dell’azienda monopolista della generazione elettrica.
La filosofia sottostante era quella di introdurre la competizione in tutti i segmenti della filiera in cui fosse fattibile, per esempio nella vendita e nella produzione di elettricità.

La liberalizzazione inglese però non ha portato a superare un oligopolio di fornitori, e sono ancora molti i clienti (e questo vale anche da noi) apparentemente non interessati a cambiare operatore. Le autorità britanniche dell’energia e dei mercati hanno approntato vari strumenti di trasparenza e di aiuto alla scelta per spingere i clienti a essere più attivi e innescare quindi la concorrenza, ma ora il governo con il tetto forzoso ai prezzi ha scelto una strada decisamente più dirigista.

Strada che ha sollevato le critiche anche di membri anch’essi conservatori del parlamento, arrivati a definire “marxista” la soluzione del governo. Dal canto suo, la IEA, agenzia dell’energia di Parigi, ha twittato che per abbassare i prezzi dell’energia serve concorrenza in mercati liberalizzati, non maldestri sistemi di tetto ai prezzi.
Vari esperti hanno fatto notare che se si mette un tetto ai prezzi in un mercato competitivo è prevedibile che quel tetto diventi un riferimento verso cui gli operatori tenderanno ad alzare tutti i prezzi che in precedenza erano inferiori. Con un effetto finale di aumento medio e di paradossale aiuto alla collusione.

Domandona: è più efficiente un’economia pianificata in un ipotetico mondo di amministratori onniscienti e incorruttibili, o una di mercati con perfetta trasparenza? Non lo so. Ma penso si possa affermare senza dubbio che strumenti dirigistici estemporanei applicati a economie di mercato sono la soluzione peggiore, un ibrido che probabilmente unisce il peggio dei mercati reali e delle pianificazioni reali.
Martin Lewis, fondatore di un sito inglese di comparazione prezzi, ha fatto una dichiarazione riportata dall’Independent il 13 ottobre 2017 che tradurrei così: “Ai clienti dovrebbe essere concesso anche il diritto di pagare di più, se va bene a loro”. Per esempio, aggiungo io, perché preferiscono un fornitore fidato ma non economico, o non hanno voglia di sbattersi tra le offerte. Limitare per decreto questa libertà è piuttosto illiberale, e diventa disastroso se ha anche l’effetto di far pagare di più chi invece al risparmio è interessato.

Link utili:




martedì 17 ottobre 2017

Indice globale della fame (Puntata 331 in onda il 17/10/17)

“La fame rappresenta uno dei problemi più gravi che affiggono l’umanità, più dell’azione combinata di malattie come AIDS, tubercolosi o malaria. È un’emergenza che interessa ancora troppe persone nel mondo e si concentra soprattutto in alcuni particolari territori” ha dichiarato Daniela Bernacchi, Amministratore delegato di Cesvi, alla presentazione dell’indice globale della fame 2017 il 13 ottobre a Bergamo.
Secondo l’indice il cui link è disponibile sul blog di Derrick e sul sito del Cesvi, tuttora nel mondo ci sono 815 milioni di persone che non hanno sufficiente accesso al cibo.


Ecco proprio Daniela Bernacchi ai microfoni di Derrick:


Link utili:



lunedì 9 ottobre 2017

Cartolina a una figlia che sceglie l'università (Puntata 330, in onda il 10/10/17)

Vuoi fare la scrittrice? Studia una scienza: scriverai del mondo sapendo di cosa parli.

E una volta che avrai imparato i nomi esatti delle cose sarai anche capace di cambiarli usando le metafore giuste.

Condotte forzate della centrale Enel di Bargi
fotografate da Derrick nel settembre 2016
Kurt Vonnegut nel suo romanzo “Ghiaccio nove” ha scritto:
I suoi seni erano come melagrane o quel che vi pare, ma più di ogni altra cosa assomigliavano ai seni di una giovane donna.
Bisogna partire dalle cose, prima di trasfigurarle. Antonio Pascale, agronomo e scrittore, ha scritto:
Se non si conoscono i dati, allora si eccede nelle descrizioni, si diventa per forza dei romantici.
Il che, essere romantici, non è mica una colpa, ma il modo più onesto per arrivarci secondo me è descrivere ogni scena con precisione fino a diventarne tutt’uno. La frase di Pascale la riscriverei dicendo che senza dati c’è il rischio di diventare subito romantici. O meglio: di diventarlo senza cognizione.

Agota Kristof ha scritto:
È diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore.
Secondo me quel “niente” è l’immedesimazione profonda e competente, è l’umiltà che viene della competenza. Da cui spesso nasce la tensione letteraria in grado di trasformarsi in chissà cosa. Senza passare per troppa retorica.
E la retorica non è solo stile, è una struttura, un esoscheletro che rischia di fare lui il lavoro di reggere tutto. Sai chi l’ha detto benissimo questo? Matteo Galiazzo, informatico e scrittore, che ha scritto:
Ogni tanto mi ritrovo a chiedermi quanta parte dell'attività cerebrale umana sia dedicata semplicemente alle definizioni e alle parole. E quanta importanza abbia la grammatica all'interno delle attività del nostro cervello. E mi chiedo anche quanta della filosofia e della logica di tutti i tempi sia dipesa semplicemente dalle costruzioni grammaticali necessarie a sostenere tali pensieri filosofici e logici. Cioè, quanta dell'analisi della realtà effettuata dalla filosofia sia veramente analisi della realtà e quanta semplicemente analisi grammaticale delle frasi necessarie a descrivere tale realtà. 
Un discorso che credo si possa allargare a varie grammatiche, alla costruzione retorica in generale. Bisogna stare attenti alla retorica che costruisce essa stessa significati. Io credo che la passione che danno i dati sia più sostenibile, fertile, utile di quella che dà la retorica. Con la retorica si diventa prima o poi un po' invasati, più tifosi che osservatori.

Italo Svevo ha portato il flusso di coscienza nella narrativa italiana. Era il responsabile finanziario di un’azienda, sapeva di numeri. Primo Levi era un chimico, uno dei suoi libri più belli e secondo me lirici, “La chiave a stella”, parla di cantieri e costruzioni ingegneristiche. Ingegneri: vogliamo parlare di Gadda?


martedì 3 ottobre 2017

Energia abusiva (Puntate 328-329, in radio il 26/09 e il 3/10/2017)

In un bell’articolo sul Fatto Quotidiano del 17 settembre 2017 Fabio Balocco si chiede come mai le costruzioni abusive ottengano di solito l’allacciamento a utenze come luce, gas e acqua quando le norme invece, almeno per gli immobili che abbiano chiesto l’allaccio negli anni recenti, lo vietino. E ipotizza che sia un difetto degli amministratori pubblici, e in particolare dei sindaci, a portare a non comunicare ai fornitori l’illegittimità dell’immobile e quindi delle forniture.


Gli abusi "di necessità"

Probabilmente, aggiungo io, c’è anche la diffusa convinzione (che come Balocco trovo anch’io abnorme) che l’abuso edilizio non sia abbastanza grave da dover renderne davvero inutilizzabile il frutto. Convinzione che produce concetti come l’”abuso di necessità” che abbiamo sentito in qualche caso invocare per esempio dopo il terremoto di Casamicciola dell’agosto scorso 2017.

Una casa a Marsiglia
(Foto di Derrick, 2007)
Del resto il tener conto di condizioni “di necessità” in corrispondenza della violazione di norme non è affatto estraneo all’ordinamento italiano. Il Codice Penale all’art. 54 in linea generale recita che “non è punibile chi ha commesso un crimine per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

In applicazione al furto, lo stesso codice dice che la necessità deve corrispondere a un “grave e urgente bisogno”, la sussistenza del quale, secondo quanto ha chiarito la Cassazione, non può essere determinata da una semplice condizione di indigenza. La stessa Cassazione di recente ha stabilito che un allaccio abusivo all’elettricità non è furto per necessità perché la rinuncia alla fornitura elettrica non comporta un pericolo grave e immediato per la persona.

La giurisprudenza dunque sembra limitare enormemente le depenalizzazioni dell’accesso fraudolento all’elettricità. Ma il principio che l’energia sia un bene a cui la società debba garantire un accesso facilitato indipendentemente dalle condizioni di reddito è nell’ordinamento, anche nella legislazione europea, e comporta anche conseguenze di redistribuzione economica all’interno delle bollette.


Le tutele ai clienti vulnerabili dell'energia

La vulnerabilità indica una condizione di potenziale incapacità di perseguire con efficacia i propri interessi di consumatore, e può giustificare forme di aiuto e di tutela che per esempio in Italia includono una tariffa standard controllata dall’Autorità di settore per i piccoli clienti che non vogliano scegliere sul mercato, prevista ancora fino a metà 2019 stando alla legge concorrenza, ma anche forme di standardizzazione e semplificazione delle bollette, nel tentativo spesso non riuscito di renderle più esplicative e, in futuro, obbligo di inclusione nell’offerta di ogni venditore di tariffe con strutture standard, per facilitarne il confronto tra operatori.

(In realtà le bollette suscitano spesso equivoci anche molto gravi. Uno che mi è stato più volte segnalato riguarda la voce relativa a “trasporto e gestione del contatore” nelle bollette elettriche. Dove trasporto non si riferisce al contatore ("quanto diavolo è costato portarmi il contatore?"), ma alla gestione della rete che porta a casa l’energia).

Regole come quelle che ho citato dovrebbero ridurre per i clienti “vulnerabili” il rischio di sorprese o clausole vessatorie, senza nel contempo comprimere troppo la libertà dei fornitori di proporre soluzioni innovative.
Qualche volta però queste limitazioni comportano perdita di opportunità per tutti. Per esempio in Italia nessun fornitore può legare un cliente domestico per un periodo anche solo di pochi mesi, nemmeno prevedendo una piccola penale di uscita. Il che impedisce ai clienti stessi di avvantaggiarsi di offerte che sarebbero possibili grazie alla minore incertezza che una fedeltà pattuita conferisce alla fornitura.


La povertà energetica

Ancora più critiche mi sembrano le norme di contrasto alla povertà energetica, che forse nascondono un clamoroso errore del legislatore. Infatti, se non c’è dubbio che la povertà sia una condizione di cui i sistemi fiscali e di welfare debbano tener conto, declinarla in termini di accesso a singoli beni crea almeno due controindicazioni:
  1. Implica un notevole paternalismo dirigista, stile tessera annonaria, in cui lo Stato decide quali acquisti devono essere facilitati a un povero e quali no. (Perché se sono povero mi assegni un caffè al giorno se a me piace il tè?, assicurati piuttosto che abbia i soldi per uno o l’altro)
  2. Produce una proliferazione normativa caotica e la sovrapposizione di sistemi di welfare autonomi difficilmente integrabili. Che costringono lo stesso consumatore a documentare la propria situazione reddituale o patrimoniale più volte per accedere, magari con criteri diversi, a sconti in diversi settori, e rendono più facile l'elusione delle norme.



Link utili:


sabato 16 settembre 2017

Sorpresa: l'eolico in mare costa poco (Puntata 327 in radio il 19/9/2017)

Uno dei limiti dei mercati spot (cioè di breve termine) dell’energia elettrica è la loro forte volatilità. 
Esistono prodotti finanziari scambiati dentro e fuori dalle borse che permettono di fissare in anticipo il prezzo dell’energia, ma tipicamente non sono abbastanza liquidi su coperture oltre i pochi anni. Per questo chi vuole investire in nuove centrali tipicamente deve prendersi il rischio che l’elettricità valga in futuro meno di quanto serve per ripagare l’investimento.
Una casa nelle Cotswolds (UK)
fotografata da Derrick nel 2012
A pensarci bene, questo succede in quasi tutti i settori: gl’imprenditori è normale che prendano il rischio di creare capacità produttiva che potrebbe rivelarsi in eccesso, a fronte della speranza di ottenere se va bene guadagni maggiori al rendimento di
un bond strasicuro.
Nei mercati liberalizzati dell’elettricità dicevo che il principio vale, ma con alcune eccezioni. Una ha recentemente riguardato il nuovo nucleare inglese, al quale la politica locale ha deciso di assicurare per decenni una remunerazione predefinita e molto alta (a spese delle bollette) e di cui qui a Derrick abbiamo trattato diffusamente.
Un’altra eccezione riguarda, anche in Italia, le nuove fonti elettriche rinnovabili a cui viene garantito un prezzo predefinito per un po’ di anni. Prezzo che però, a differenza del caso nucleare inglese, viene stabilito in modo competitivo attraverso aste al ribasso.
Bene, qualche giorno fa, con un simile meccanismo di aste, il governo britannico è riuscito ad assicurarsi da controparti di mercato una capacità produttiva futura di oltre 2000 MW da centrali eoliche in mare a un prezzo tra i 65 e gli 85 €/MWh. Molto meno degli oltre 105 garantiti (a cambio attuale) al nuovo nucleare di Hinkley Point, e per una capacità produttiva simile.


Perché si tratta di un risultato clamoroso? Perché mostra una tendenza di riduzione dei costi dell’eolico marino ancora più veloce di quanto s’immaginasse prima di queste aste, e per una tecnologia che è tra le più costose tra le fonti rinnovabili.

Dunque l’eolico offshore batte di gran lunga il nucleare per economicità?
In prima istanza senza subbio sì.
Un’obiezione certamente valida è che i costi di produzione potrebbero non essere indicativi del costo totale per il consumatore. Infatti per l’eolico essi non comprendono i costi di backup che il sistema elettrico deve essere pronto a fornire, e pagare, quando il vento cala. Nel caso del nucleare invece il costo di produzione non include, o non interamente, gli oneri, scarsamente stimabili, della messa in sicurezza definitiva delle scorie (per ora non attuata in nessun luogo del mondo), e di certo non quelli potenzialmente enormi di incidenti catastrofici.
Tanto vale dunque basarsi sui soli costi di produzione a cui l’industria oggi è disposta a impegnarsi. Alla luce dei quali non stupisce che per esempio Caroline Lucas dei verdi inglesi, come riporta Adam Vaughan sul Guardian dell’11 settembre 2017, ritenga che si dovrebbe ripensare l’impegno sul nuovo nucleare britannico, vista la disponibilità di alternative altrettanto vaste e si direbbe molto più economiche per la produzione elettrica senza emissioni-serra.


Link utili:

sabato 9 settembre 2017

Cherso, l'isola salvata (Puntata 326, in onda il 12/9/2017)

Pendici del bosco nei pressi di Lubenice a Cherso (Lubenizze in Italiano)
La grande isola dalmata di Cherso, nel nord dell’Adriatico, romana nell’antichità insieme alla vicinissima Istria, poi parte della repubblica di Venezia, degli Asburgo, poi insieme all’Istria passata alla Jugoslavia nel ’47, oggi è in territorio croato.


Gli esuli italiani

Anche da Cherso dopo la seconda guerra mondiale molti italiani hanno iniziato a scappare, ancor prima del trattato di Parigi del ’47 che assegnò l’Istria e Cherso alla Jugoslavia, la quale si avvalse del suo diritto di chiedere l’uscita da questi territori di chi scegliesse di mantenere la nazionalità italiana, completando così una diaspora di massa di cui è facile trovare anche sul web immagini drammatiche, come quella della nave Toscana che si appresta a salpare da Pola carica di profughi italiani che attendono l’imbarco con carretti stracarichi e cappotti sotto la neve.

Tra gli esuli italiani da Cherso, lo scrittore e storico Luigi Tomaz, morto nel 2016, che sulla storia dell’isola ha scritto vari libri. Stabilitosi a Chioggia, è stato eletto sindaco della città per due mandati.

Ma anche a Cherso si fanno abusi,
come questo incredibile ampliamento
in cemento di una casa di pietra
a Lubenice, che addirittura copre un lato
dell'arco in pietra retrostante.

La conservazione di Cherso

Oggi Cherso è una delle più incontaminate isole croate, coperta per buona parte di foreste, con uno sviluppo edilizio moderno quasi esclusivamente limitato a un paio di quartieri del comunque piccolo capoluogo omonimo, che ospita circa 3000 residenti.

Più o meno al suo centro, l’isola ha un grande lago artificiale d’acqua dolce gran parte della cui profondità è sotto il livello del mare, e che rifornisce gli acquedotti dell’isola e di quella più a sud, Lussino, separata da Cherso solo da un piccolo canale navigabile realizzato in epoca romana.
I borghi a Cherso, arroccati o pescherecci, sono piccoli e hanno in generale conservato la struttura originaria con case in pietra dalle finestre piccole, separate da viottoli molto stretti. Le proprietà di boschi e pascoli sono delimitate da muretti a secco scavalcati da cervi che è facilissimo incontrare anche all’interno del villaggio di Punta Kriza.

Cosa ha determinato una conservazione così meravigliosa di quest’isola?
Se l’Italia non l’avesse persa con la seconda guerra mondiale, l'isola avrebbe avuto uno sviluppo diverso, sarebbe stata disboscata come quasi tutto il territorio italiano sfruttabile per agricoltura o insediamenti?

Non lo so. Le vicine Veglia (Krk) e Rab, molto più urbanizzate e rovinate, suggeriscono una risposta negativa.
Resta dunque il felice mistero.


Link utili:

martedì 29 agosto 2017

Bollette elettriche su consumi presunti (Puntate 320 e 325, in radio il 18/7 e 29/8/17)

Torna una puntata di Derrick di supporto, spero, alla gestione del contratto domestico di fornitura elettrica. Parliamo di bollette su dati di consumo presunti e non reali. Un’anomalia che può capitare e rivelarsi piuttosto infida e, per essere risolta, richiede la capacità di leggere il proprio contatore.

Allora: se avete ricevuto una bolletta elettrica con consumi strani rispetto al solito leggete se è basata su dati di consumo effettivi (cioè acquisiti dal distributore automaticamente attraverso il contatore elettronico) oppure presunti. In quest’ultimo caso, in assenza di dati di lettura comunicati dal cliente attraverso la lettura manuale del contatore, il venditore di energia stima un consumo per il periodo fatturato, guarda caso spesso superiore a quello reale.

Dunque ecco le istruzioni su come proteggersi e possibilmente evitare di anticipargli dei soldi.

Contatore elettronico monofase
montato a Roma da Acea (oggi Areti)
Se vivete a Roma, dove come nel mio caso le mancate letture da parte del distributore Areti (gruppo Acea) non sono rare, avete probabilmente un contatore come quello nella foto, e dovete premere l’unico bottone sotto il display e appuntarvi cinque dati che appariranno in schermate successive: il numero nella schermata contrassegnata da “A+”, che è il consumo complessivo in megawattora da quando il contatore è stato installato o resettato, e poi i tre o quattro numeri in corrispondenza di “A+ (T1)”, dove la cifra passa da 1 a 4 (o 3), i quali costituiscono la scomposizione del consumo complessivo per fasce orarie, rilevanti se avete una fornitura con prezzo differenziato in base all’orario di consumo.

Se non vivete a Roma e avete un contatore E-distribuzione (Gruppo Enel) o altrui elettronico di prima generazione, la procedura è molto simile e sotto (o altrove in rete) trovate link alle istruzioni dei contatori più diffusi.
Le quali hanno comunque un valore indicativo, perché i contatori sono stati installati nel giro di oltre dieci anni in versioni differenti e i loro software possono essere stati aggiornati più o meno recentemente. In generale, la lettera A corrisponde a valori di consumo di energia attiva, quella che vi serve. Potete tralasciare le cifre eventuali contrassegnate da R, mentre P indica il picco massimo di potenza assorbito, talvolta anch’esso distinto per fasce, utile per vostra informazione ma non ai fini della rettifica dei consumi.

Se avete un contatore di ultimissima generazione, che E-distribuzione chiama Open Meter e vi è appena stato installato, riferitevi invece alle istruzioni fornite con esso. Sarebbe abbastanza clamoroso che il distributore non riuscisse a leggere questa macchina da remoto.

Forti dei numeri acquisiti, chiamate il fornitore al numero scritto in bolletta (quello dedicato all’autolettura, o in mancanza quello del customer care, o entrambi) per comunicare la lettura, e fatevi confermare che essa è stata acquisita.

Se la bolletta con consumi presunti superiori a quelli appena riscontrati non è ancora pagata, vi conviene chiedere anche la riemissione con annullamento di quella sbagliata.

Se poi siete gente a cui piace farsi valere fino in fondo, intanto avete l’ammirazione incondizionata di Derrick, dopodiché vi invito a scrivere un reclamo scritto al fornitore (se vi sembra che ci abbia marciato con la stima dei consumi) e in ogni caso al distributore che non è stato capace di leggere il contatore, attività per cui è pagato in bolletta.
Se non ricevete risposta ai reclami, o ne ricevete una insufficiente o elusiva, chiamate anche il numero verde dell’Autorità Energia: 800 166654.


Il caso di Giovanni Galgano

Tra le segnalazioni in materia, è arrivata a Derrick quella di Giovanni Galgano (qui su twitter), lobbista milanese già collaboratore in questa puntata di Derrick e nella successiva. Ecco i punti salienti della sua disavventura:

  • A marzo 2017 Galgano sottoscrive un contratto di “tutela simile” con il più conveniente dei fornitori presenti nell’apposito portale (per approfondimenti: link sotto).
  • Ad aprile il nuovo fornitore gli conferma che dal primo maggio sarà loro cliente. A giugno Galgano riceve la bolletta di chiusura del contratto di a2a, il fornitore precedente monopolista nella zona di Milano per l’offerta standard di “maggior tutela”. Un conguaglio di ben 680 Euro. Basato su 14 mesi di letture solo presunte ma, secondo il fornitore, “validate” e quindi valide per il conguaglio. In realtà i numeri del contatore di Galgano dicono tutt’altro: i KWh consumati reali sono circa 400 in meno di quelli presunti. In effetti nessuno ha mai acquisito o da remoto o di persona una lettura in più di un anno, né ha allertato Galgano sulla necessità di leggere lui stesso il contatore.
  • Galgano reagisce bloccando l’addebito automatico sul conto corrente a favore del vecchio fornitore, dopodiché lo chiama e gli viene detto che i numeri li ha mandati il distributore Unareti e che la rettifica la deve fare il nuovo fornitore.
  • Galgano non paga neanche dopo sollecito, fa un reclamo e si affida al nuovo fornitore che s’impegna a chiedere verifica dei numeri a Unareti.
Ecco un commento direttamente dalla sua voce:


Come andrà a finire lo chiederemo più avanti direttamente a lui. Intanto, invito chi sia incorso in situazioni simili a scrivere a Derrick, raccontando com’è andata.


Link utili