lunedì 22 maggio 2017

La strategia energetica 5 stelle (Puntata 314 e speciale del 26/6/2017)

Abbiamo visto poche puntate fa che il governo sta aggiornando il piano energetico nazionale. Ne ha presentate delle slide riassuntive in parlamento, ma per farne un’analisi affidabile dobbiamo aspettare il documento completo, mentre al momento girano versioni non ufficiali che potrebbero essere passibili di modifiche.
Nel frattempo, il 22 maggio 2017 è stato presentato in una conferenza stampa in parlamento il programma energia del movimento cinque stelle.

Si tratta di un documento ponderoso quasi quanto quello del governo, e anch’esso con un’ampia introduzione di scenari tratti dai soggetti istituzionali come Terna, Eurostat e IEA, in quest’ultimo caso però con riferimento a un outlook sull’Italia decisamente troppo vecchio. Non manca nemmeno una ricapitolazione delle politiche energetiche già incardinate da Europa e Italia. Un documento, lo dico subito, ben fatto, anche se – a mio avviso - con alcune contraddizioni e lacune (però non più di quelle del corrispondente governativo, almeno come visto sino a ora).
Vediamo i principali obiettivi di lungo periodo del piano 5 stelle, il cui anno-obiettivo è il 2050:
  • Efficienza energetica: riduzione dei consumi finali di energia del 37%, tranne consumi navali, rispetto al 2014
  • Utilizzo delle sole fonti rinnovabili per tutti gli usi energetici
  • Forte elettrificazione dei consumi, cioè utilizzo finale di energia in forma elettrica, da portare al 65%, sempre escluse le navi.

Riguardo alla transizione alle rinnovabili e alla decarbonizzazione, il piano prevede obiettivi intermedi ambiziosi: l’eliminazione del carbone per produrre elettricità entro il 2020 (secondo Derrick condivisibile) e tre anni dopo la fine dell’uso di combustibile derivato da rifiuti. Quest’ultima una posizione piuttosto estrema e difficile da conciliare con il mancato uso di discariche che credo sia anch’esso un punto del programma 5 stelle.
Il "bocchettone" di un'auto ibrida plugin
Previsto per il 2030 anche l’abbandono di petrolio e suoi derivati, ma non per trasporti e agricoltura. Che è come dire che l’abbandono non c’è.
Qui mi sembra che i 5S manchino di coraggio: in realtà il mix di gas naturale e elettricità potrebbe permettere tra 13 anni trasporti senza o con poco uso di prodotti petroliferi, e sicuramente sarebbe possibile escluderli nei centri urbani con enormi ricadute positive per la salute del paese. Perché no, dunque? L’apprezzabile proiezione verso il futuro del Movimento in tema energia sembra infrangersi contro l’industria del petrolio o forse dell’auto tradizionale. E contro il settore navale, come abbiamo visto negli obiettivi al 2050.

L’esenzione all’agricoltura dall’abbandono di petrolio e derivati è ancora meno comprensibile. Nel senso che non c’è una ragione per un trattamento di favore del settore. Uno di quelli che, insieme ai trasporti, già più vive di sussidi, e che, per esempio secondo uno studio di Andrea Molocchi (che ringrazio per avermelo segnalato) recentemente pubblicato su Nuova Energia, è più in debito comparando le esternalità negative che dà all'ambiente con le imposte ambientali che paga.
Vogliamo un’agricoltura sostenibile e pulita sì o no? L’agricoltura è buona in sé, perché ci ricorda l’origine bucolica della civiltà, o è buona se competitiva, efficiente, sostenibile, come qualunque altra attività?

Altro punto su cui non mi trovo d'accordo è il mito (non solo in questo programma) dell'autonomia energetica, che nel documento è preconizzata. Qual è il motivo di ritenere negativo l'import di energia e non quello di microprocessori, altre materie prime, automobili e non so cos'altro? Per quale motivo dovremmo autoinfliggerci i costi dell'autarchia energetica?


Intervista a Davide Crippa deputato M5S sul programma energia

Abbiamo approfondito il 26/6/2017 il tema con uno speciale Derrick negli studi di Radio Radicale con Davide Crippa, deputato del M5S membro della Commissione Attività Produttive della Camera. Qui l'audio integrale:

https://www.radioradicale.it/scheda/513062/speciale-derrick

lunedì 15 maggio 2017

Monopoli dell'energia nell'interesse di chi? (Puntata 313)

C'è una novità che rende necessario riprendere un tema che, stando ai contatti su questo blog, ha suscitato molto interesse: i comportamenti scorretti di alcuni venditori di energia.

Una tecnica scorretta tipica, come abbiamo visto anche in una serie di puntate recenti, è alimentare la confusione tra gestore in monopolio della rete locale e fornitore, affermando o lasciando intendere che un venditore d’energia che appartiene allo stesso gruppo societario del gestore della rete sia più affidabile o abbia vantaggi, quando invece la rete dovrebbe interfacciarsi con tutti i venditori nello stesso identico modo, così come un’autostrada fa passare chiunque paghi il pedaggio alle stesse condizioni.
Passerella pedonale nei pressi della stazione Campi Sportivi,
a Roma, sulla linea ferroviaria regionale piazzale Flaminio-Viterbo.
(Foto di Derrick)

Ma c’è di peggio che millantare vantaggi da parte dei gruppi societari presenti su entrambi i fronti, ed è sfruttarli davvero. Per esempio usare le informazioni possedute in quanto gestore di rete per fare offerte mirate a clienti serviti da altri. È come se TIM, l’ex Telecom, che deve assicurare accesso alla parte condivisa di infrastruttura a tutte le compagnie telefoniche, e quindi in possesso di informazioni su quale cliente è servito da chi, chiamasse i clienti di altri gestori usando queste informazioni per convincerli a farsi servire da TIM.

In più nell’energia c’è un altro monopolio, quello della fornitura della tariffa regolata di “tutela”, affidata per legge in esclusiva al venditore dello stesso gruppo societario del distributore locale.
Se il fornitore di questo servizio, regolato e in monopolio, usa il contatto col cliente per proporgli un’altra sua offerta nel mercato libero, sfrutta un suo vantaggio monopolistico.

Comportamenti, quelli qui sopra, che si configurerebbero come abuso di posizione dominante secondo le norme antitrust.

Ebbene: l’Autorità antitrust italiana ha appena aperto tre procedure d’infrazione proprio per gli abusi che ho elencato, a carico di Enel, A2A e Acea, ritenendo degne d’attenzione numerose segnalazioni di clienti e concorrenti.
Gli illeciti presunti di Enel, in particolare, sono documentati da registrazioni di telefonate come quelle pubblicate da La Notizia, che colgono venditori nell'atto di sfruttare illegittimamente i vantaggi informativi del monopolio di rete locale della stessa Enel.
E se questi casi possono essere iniziative di venditori esterni che violano le direttive della stessa azienda (ma la complicità con qualcuno che ha i dati è necessaria per farlo), è clamoroso che proprio l’Enel sia stato l’unico venditore di energia in Italia a compiere una battaglia legale contro l’obbligo di chiara separazione dei marchi tra distribuzione e vendita. Obbligo che peraltro ha rispettato in modo elusivo, così come Acea, con marchi per la società di distribuzione che richiamano incontrovertibilmente quelli del gruppo.

Seguiremo naturalmente come andrà a finire e se gli addebiti verranno confermati dall’antitrust.
Intanto una riflessione: cos’hanno in comune queste tre aziende?
Sono tutte controllate dall’amministrazione pubblica, oltre a essere anche quotate.

Vuoi vedere allora che il controllo pubblico non è garanzia di correttezza nel rispetto delle norme?
Recentemente il presidente della commissione Attività Produttive della Camera, Massimo Mucchetti, spesso molto critico con privatizzazioni e liberalizzazioni, ha auspicato in seduta plenaria che si valuti, in relazione a possibili privatizzazioni di aziende pubbliche, non solo l’introito dalla vendita, ma anche il valore dei mancati dividendi futuri per lo Stato.
Economicamente non fa una piega.

Ma quella del fare utili con le partecipate è una motivazione a doppio taglio per i fan delle partecipazioni pubbliche, perché sottende che non c’è motivazione prevalente di perseguimento di un qualche bene pubblico nell’avere lo Stato azionista di aziende, bensì quella di mettere le mani in settori remunerativi, comprando azioni coi soldi dei cittadini (i quali, per inciso, con società quotate in borsa se vogliono possono farlo da soli con tre clic sul sito della propria banca).

Il guaio è che dove l’azionista di controllo è lo stesso che stabilisce le regole del gioco sul mercato di riferimento la concorrenza rischia di essere falsata.
Si sarebbe permesso un operatore indipendente di mercato uno spregio delle regole e un senso di impunità pari a quello di cui stiamo parlando dell’Enel?

Auguro all’AGCM la forza per svolgere con autonomia questa indagine malgrado tocchi, oltre all’interesse dei cittadini-clienti dei servizi energetici, anche lauti dividendi del Tesoro, del comune di Milano e di quello di Roma.

martedì 2 maggio 2017

La lista della spesa (Puntate 311-312)

Caldaia e muro fotografati da Derrick
nella palestra del circolo Arci Bellezza di Milano
Il ministro Calenda, il cui dicastero è responsabile di quella che chiamiamo politica industriale italiana, ha dichiarato che un fallimento di Alitalia sarebbe un disastro, e che quindi bisogna garantirne la continuità in attesa di trovarne un compratore.

Se fossero soldi miei, l’ultima cosa che farei con un’azienda che perde drammaticamente in un settore dove i concorrenti guadagnano sarebbe garantirne continuità.
E l’incubo purtroppo è che sì, nuovamente ora sono soldi miei.


Dopo Alitalia la fine del mondo?

Abbiamo già visto qui a Derrick, basandoci su uno studio IBL del 2014 che analizza esperienze di altre compagnie aeree, che quando ci sono in ballo asset di grande costo e valore, come aerei presi a leasing e slot per tratte di forte interesse, se viene meno un’azienda il mercato si organizza in fretta per rimettere in aria gli aerei e rioccupare gli slot, e che nei casi di aviolinee in dissesto liquidate e acquistate da altra proprietà l’effetto di medio periodo è stato un incremento e non decremento di traffico nelle rotte e negli scali serviti in precedenza.

Se fosse quindi proprio di discontinuità che ha bisogno Alitalia, o meglio chi paga le tasse e la parte più competitiva di chi ci lavora?
Se io fossi un dipendente in gamba della compagnia, e avessi fino a oggi dovuto accettare accordi di solidarietà per rendere possibili i vari salvataggi, avrei votato ora contro l’accordo, nella speranza non di un salvataggio ma di una liquidazione a breve e riassunzione da parte di una nuova proprietà sulla base della professionalità che io ho da offrirle. Senza più dovermi sobbarcare i danni e il costo di un management e di altri colleghi che evidentemente per competenze o stipendi sono un peso e quindi probabilmente non hanno le caratteristiche per essere riassunti alle stesse condizioni da un’azienda competitiva.


La lista della spesa

E mentre sta per compiersi l’ennesimo trasferimento di soldi pubblici a un’azienda privata presunta strategica, ho letto – seppur tardivamente – “La lista della spesa” di Carlo Cottarelli, Feltrinelli, uno dei cui capitoli riguarda proprio i trasferimenti pubblici alle aziende, 32 miliardi nel 2013. Definizione che contiene di tutto, anche i prestiti come quello ad Alitalia, e anche pagamenti a fronte di contropartita.
Un sottoinsieme dei trasferimenti sono i sussidi veri e propri: soldi che lo Stato dà ad aziende private allo scopo di aiutarle a esistere o a vendere sottocosto, il che, nei settori di mercato, equivale ad aiutarle a battere la concorrenza di altre aziende non sussidiate.
Esempi di sussidi ad aziende private in concorrenza sono quelli all’agricoltura, in buona parte attraverso sconti fiscali, alla scuola privata (in violazione secondo Cottarelli dell’articolo 33 della Costituzione - ma qui la definizione di sussidio è opinabile perché una contropartita c'è, mentre resta il fatto che senza un sistema di voucher e di piena concorrenza non si capisce perché lo Stato debba pagare due volte per la messa a disposizione dell'istruzione) e soprattutto, appunto, ai trasporti.

Talvolta si tratta di ambiti dove il mercato non è disposto a pagare il servizio abbastanza da renderlo fornibile in quantità e a prezzi considerati socialmente corretti, come in parte del trasporto pubblico locale. Altre volte, come per gli oltre quattro miliardi/anno (dato questo aggiornato da Derrick) di sconti su accise su carburanti al trasporto pesante, lo Stato per motivi incomprensibili vuole forse rendere artificiosamente economico spostare merci su e giù per il Paese (e lo fa nel modo peggiore possibile: dando sconti sui carburanti, aiutando quindi chi inquina di più. Lo dico solo io? No, lo dice il ministero dell'ambiente). 

Ecco, nel caso Alitalia, che opera in un mercato dove i prezzi di riferimento dipendono per fortuna sempre più dalla concorrenza e non dalle decisioni di una singola azienda, nemmeno il fine di abbassare i prezzi per gli utenti è invocabile a motivo dei sussidi.


Qualche numero su sussidi e spesa fiscale

Il mare dei sussidi pubblici, molti dei quali in forma di spesa fiscale, rispecchia un forte interventismo dello Stato nell’economia anche in assenza di partecipazioni pubbliche, e io credo rispecchi anche l’ipertrofia stratificata e polverizzata della nostra attività legislativa, piena di facilitazioni a questa o quella categoria, spesso senza una coerenza tra misure.
La relativamente piccola dimensione di molte delle misure prese singolarmente, ognuna delle quali ha però beneficiari pronti a protestare, probabilmente concorre alla difficoltà nell’aggredire questa forma di spesa, anche quando è impossibile trovare una ragione sensata o quando c’è evidente contraddizione tra spese diverse.

Di quanto stiamo parlando?

I sussidi in forma di trasferimenti di Stato centrale e regioni alle aziende valevano oltre 41 miliardi nel 2011 secondo Giavazzi, in un’analisi poi ripresa da Giarda e Flaccadoro. Quelli, sempre in forma di soli trasferimenti diretti, del solo Stato centrale e del sistema di parafiscalità di bollette energetiche valevano secondo il ministero dell’Ambiente 19 miliardi nel 2016.

Più complicato computare l’erosione fiscale, cioè il valore delle facilitazioni fiscali, che è generalmente considerabile sussidio in quanto priva di contropartita in termini di fornitura di beni allo stato. Secondo il ministero dell’Ambiente (link sopra e alla fine dell'articolo) essa, escludendo gli enti locali e includendo la parafiscalità energetica, ammonta a 22 miliardi/anno, di cui circa 16 sono da eliminare in quanto dannosi all’ambiente e/o contrari a impegni interni e internazionali del Governo
Il MEF nel suo primo rapporto sull’erosione fiscale elude una quantificazione complessiva, ma fornisce un catalogo che utilizzo per queste considerazioni.

  • Una prima classe di sussidi fortemente discriminatori e incoerenti con le politiche ambientali l'abbiamo citata sopra e riguarda gli sconti su accise a carburanti e combustibili fossili soprattutto a trasporto commerciale e agricoltura per circa 4 miliardi/anno..
  • L’agricoltura è poi una star dei sussidi, soprattutto attraverso le più disparate esenzioni di imposta, che superano i 2,3 miliardi secondo il MEF.
  • C’è poi la tanto venerata prima casa, sussidiata per oltre 10 miliardi all’anno, in questo caso in favore di persone fisiche.
  • Anche la spesa fiscale per la “competitività” e per la riduzione del cuneo fiscale delle aziende è altissima (oltre 13 miliardi) anche in seguito a recenti misure. Ora, se è vero che il cuneo fiscale è un elemento decisivo di competitività, sarebbe credo meno distorsivo e arbitrario affrontarlo con una riduzione generalizzata delle tasse anziché con misure di incentivo all’acquisto o ammortamento di determinati beni o defiscalizzazione solo temporanea e selettiva del lavoro.


Ho un sogno

Ho un sogno: una revisione fiscale con forti riduzioni di aliquote d’imposta insieme al reset di gran parte della spesa fiscale, che contribuirebbe in modo decisivo a finanziarla. Si toccherebbero molte rendite, ma forse la generalità dei contribuenti apprezzerebbe. O forse no: se chi difende una rendita reagisce con più determinazione di chi aspira a un fisco più ragionevole.


Riferimenti

Ringrazio Matteo Anniballi per una sua osservazione utile a rendere il testo, spero, più preciso