martedì 20 giugno 2017

Dov'è il mercato? (Puntata 317, in replica in radio il 15/8/17)

Mi ha colpito un articolo sull’Economist del 3 giugno 2017 ("The everything makers - Indian state-owned companies", a pag. 57 dell'edizione cartacea), come sempre non firmato.
Parla di come nell’economia indiana sia forte la presenza delle aziende di stato eredità del passato socialista del paese. Aziende che perlopiù perdono soldi in settori competitivi dove non riescono a essere abbastanza dinamiche (Air India, in rosso dal 2007, ne è presa a esempio), oppure guadagnano in settori monopolistici.
E aziende che secondo l'Economist da un lato dispensano lavoro con finalità di welfare, dall’altro usano grandi quantità di capitale – risorsa scarsa in India – spiazzando gl’investimenti privati e remunerandolo – monopoli a parte – meno delle aziende private.
Il segmento dei monopoli pubblici indiani, in particolare nell’energia, invece macina l’80% dei profitti di tutte le aziende pubbliche, senza che però questi monopolisti siano efficienti. Per esempio Coal India, nel settore del carbone, ha un output per turno/uomo pari a un ottavo di quello di Peaboy energy, competitor americano.


(Alcune) liberalizzazioni senza privatizzazioni

Dove liberalizzazioni e concorrenza sono state introdotte, come nel caso dell’aviazione civile, le aziende pubbliche indiane hanno massicciamente perso quote di mercato e bruciato capitale pubblico visto che la loro privatizzazione invece è stata perlopiù rimandata e le azioni sono quindi rimaste in mano allo Stato.


E in Italia?

Quanto pesano nella nostra economia le aziende controllate dallo Stato?
Prendiamo le tabelle del report “Italian leading companies” dell’ufficio studi di Mediobanca (link sotto) e scopriamo che nel comparto industria e servizi la prima azienda per fatturato è saldamente il privatissimo gruppo FCA.
Dietro di lui però: Eni, Enel, Gestore dei Servizi Elettrici (l’agenzia del Tesoro che gestisce i sussidi alle fonti elettriche rinnovabili e altre partite energetiche regolate), Telecom (ora TIM, non più del Tesoro ma operante anche nel settore regolato delle reti delle telecomunicazioni), Finmeccanica. Poi arriviamo alla holding Edizione dei Benetton, con partecipazioni importanti in settori monopolistici regolati come autostrade e aeroporti, e finalmente a Edison, azienda acquisita dalla francese EDF e che si occupa di segmenti puramente di mercato dell’energia, a differenza del gigante Enel, controllato dal Tesoro, che fa una parte considerevole dei suoi utili nella gestione monopolistica delle reti con tariffe stabilite dall’Autorità dell’Energia.

Ci sono differenze con l’India? Direi di sì: parte delle nostre aziende a controllo pubblico dimostrano almeno in alcuni dei loro business di essere competitive sui mercati anche internazionali (ma con il pericolosissimo rischio di sussidi incrociati dai settori in monopolio, a spese degli utenti italiani, in favore dei loro business competitivi).
La cosa poco diversa rispetto all’India è invece la vastità del giro d'affari di aziende controllate dallo Stato o attraverso la proprietà o in quanto arbitro delle regole di business monopolistici.

È chiaro che queste osservazioni, limitate alle aziende più grandi per fatturato, sono influenzate dal fatto che tra le aziende private italiane ci sono pochissimi giganti. Ma al prossimo che si lamenta con me del pericolo del dilagare del "turboliberismo" e dell’economia privata di mercato chiederò di dirmi dove l’ha visto questo dilagare. Lo ammetto: è un posto dove mi trasferirei volentieri.


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lunedì 12 giugno 2017

USA: accordo di Parigi e futuro del carbone (Puntate 316 e 318)

Come ricordano Marzio Galeotti e Alessandro Lanza su Lavoce.info (link sotto), l’accordo di Parigi di fine 2015, già ratificato da 147 paesi sui 197 rappresentati nella Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC) firmata a Rio de Janeiro nel 1992, è uno degli strumenti che traducono in azione l’obiettivo della Convenzione, cioè stabilizzare in tempo utile le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello sufficiente a escludere effetti pericolosi delle attività̀ umane sul sistema climatico.

Notano sempre Galeotti e Lanza come Trump abbia scelto di recedere dall’ultimo patto operativo (l’accordo di Parigi) ma non dalla Convenzione quadro. Come mai? Forse perché uscire da una convenzione ratificata da un presidente repubblicano (Bush) e dal senato sarebbe stato difficile, o forse per accontentare il proprio elettorato senza in realtà avere effetti immediati, visto che l’uscita dall’accordo di Parigi, per come disciplinata dallo stesso accordo, richiede una procedura abbastanza lunga da prolungarsi fin verso la fine del mandato di Trump. Il quale, almeno per ora, non ha messo gli USA in un territorio di formale illegalità rispetto ai termini dei patti contratti, come io qui a Derrick invece prefiguravo sulla base delle dichiarazioni americane in seno al G7 energia qualche tempo fa.
Una sala per banchetti abbandonata, fotografata da Derrick

In che modo possiamo osservare se le economie mondiali si stanno o non stanno preparando a un futuro a basse emissioni-serra? Guardando gli investimenti e le scelte delle aziende, che sono solo in parte determinate da politiche vincolanti degli Stati, visto che chi prende decisioni economiche di lungo termine deve farsi un’idea di come sarà il futuro anche anticipando le decisioni politiche. E abbiamo visto a Derrick che sono state anche le aziende, perfino del settore petrolifero come Exxon, a chiedere ai politici segnali più coerenti verso la decarbonizzazione.
Negli USA del resto si sta massicciamente investendo in infrastrutture per l’esportazione di gas naturale allo stato liquido e forse non è molto credibile che il loro presidente danneggi il settore del gas (veicolo nel medio termine di una filiera energetica meno carboniosa) a vantaggio dell’industria del carbone.
Carbone per il quale la domanda mondiale è calata per due anni di seguito secondo l'outlook di BP, iniziando un trend che, per usare le parole di Sissi Bellomo del Sole 24 Ore, è difficilmente invertibile.

Non serve quindi una politica internazionale di indirizzo nel contenimento delle emissioni serra? Certo che serve. Secondo Christian de Perthuis, che ne ha scritto su Les Echos del 7 giugno 2017 (ringrazio la preziosa rassegna stampa di Aiget) la politica di decarbonizzazione dev’essere rafforzata puntando sui sistemi di disincentivo economico alle emissioni. E il principale di questi sistemi, l’europeo Emission Trading Scheme, necessita secondo De Perthuis di essere rivitalizzato, come in effetti prevede la proposta della Commissione UE contenuta nel cosiddetto “quarto pacchetto” clima-energia, che nei prossimi mesi passerà al vaglio del Consiglio e del Parlamento UE.
Ne potrebbero essere perfino gli stati americani più sensibili in materia, come la California, scrive De Perthuis, i futuri membri o emulatori.


La crisi del carbone statunitense

Scrivevano Jon Camp e Kris Maher il 20 giugno 2017 sul Wall Street Journal che negli Stati Uniti in 5 anni sono state chiuse 350 centrali elettriche a carbone, sostituite perlopiù da altre a gas, la fonte ormai più diffusa negli Stati Uniti e che ha scalzato il primato che era proprio del carbone come fonte di 1/3 dell’elettricità totale prodotta.
Ne derivano e deriveranno problemi occupazionali non solo alle miniere degli Appalachi, ma alle comunità di vari Stati dell’Est e centro Est come Ohio, Pennsylvania, New Jersey, Tennessee, Michigan.
Come abbiamo visto sopra e in altre puntate (link sotto), la causa di questo è l’accresciuta competitività del gas naturale americano, resa possibile dagli enormi investimenti in nuove tecnologie di estrazione. Ma anche da limitazioni di emissioni inquinanti pericolose (regole indipendenti da quelle sui gas-serra) e dalla migliore flessibilità delle centrali a gas per compensare l’intermittenza delle rinnovabili.

Foto trovata da Giovanna Milner
Ci sono organizzazioni che negli USA chiedono alla politica di fermare questa tendenza, per salvare l’occupazione della filiera del carbone (link sotto).
Ed è comprensibile e inevitabile che ci siano, com’è successo altre volte in relazione a tanti settori che venivano scalzati dal progresso tecnologico. Che ne è stato dell’indotto delle macchine a vapore, dei calcolatori a schede perforate, della fotografia chimica? Molte aziende sono fallite, altre si sono riconvertite, di sicuro il tipo di competenze richieste ai loro lavoratori è almeno in parte cambiato.
Per il mondo dell’energia, l’innovazione di informatica e telecomunicazioni, degli apparecchi di generazione e stoccaggio d’elettricità e delle tecniche – di cui a Derrick già anni fa abbiamo parlato – su ricerca e coltivazione di idrocarburi stanno portando e porteranno cambiamenti enormi. Non è credibile fermarli per garantire continuità agli occupati del carbone.


Reddito minimo e innovazione?

Questo episodio, come tanti altri, secondo me mostra come un paracadute al reddito di chi perde il posto sia importante per aiutare l’innovazione.
Se un’innovazione rischia di buttarmi sul lastrico perché dovrei appoggiarla?
Posso farlo solo se il sistema di welfare mi riduce i danni e aiuta a riconvertirmi.
Se questo è vero, è uno degli argomenti per sostenere che un reddito minimo garantito ben disegnato aiuta ad accelerare l’innovazione e, quindi, a rendere la comunità nel complesso più competitiva e ricca.



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martedì 6 giugno 2017

Turismo macabro? (Puntata 315)

I segni rossi rappresentano le barriere al traffico.
HR sta per Hotel Rigopiano.
La situazione risale al 3/6/2017.
L’altopiano di Campo Imperatore e la catena del Gran Sasso sono tra i luoghi più maestosi e affascinanti d’Italia, all’interno del parco nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga.

Pochi giorni fa volevo raggiungere per un’escursione il monte Camicia, la vetta più orientale del gruppo, e mi avvicinavo in auto dal teramano, a nord. Non volevo fare l’autostrada fino ad Assergi ma il per me più razionale passo di Vado di Sole collegato al paese di Cancelli dalla Strada Provinciale 37 (della provincia di Teramo).
Una strada di montagna molto bella, proprio alla base della imponente parete nord del monte Camicia, ma che da quando ho memoria sembra priva o quasi di manutenzione, d’inverno è soggetta a valanghe e frane e purtroppo ho scoperto essere chiusa anche nella data della mia perlustrazione (3 giugno 2017), benché sul sito della provincia nei giorni successivi si trovassero solo ordinanze di vecchie chiusure invernali.

Sperando di poter aggirare una o più frane motivo del blocco, la mia alternativa per raggiungere Vado di Sole a questo punto potevano essere una serie di strade locali, anche sterrate, per intercettare la strada comunale di contrada Rigopiano che da Farindola sale fino a unirsi alla parte più alta della SP 37 in prossimità del valico Vado di Sole.

Arrivato alla strada per Rigopiano, ho trovato alcune auto, perlopiù fuoristrada, ferme in corrispondenza di un blocco con divieto di transito. Da una è scesa una signora che mi ha detto di essere in procinto di fare un’”ispezione” e mi ha chiesto dove andassi. “È chiuso” ha detto. Le ho chiesto perché. Mi ha risposto che era incredibile non lo sapessi: era chiuso per evitare il “turismo macabro” alle rovine dell’hotel Rigopiano, benché la strada fosse in condizioni percorribili.

Il monte Camicia mi aspettava e non ho approfondito, visto che mi sarebbe toccata più di un’ora d’auto di percorso alternativo, quando mi ritenevo già a un quarto d’ora dalla meta.

A casa però ho cercato invano sul web la delibera del sindaco Lacchetta di Farindola, citata da giornali locali tra cui "Il Pescara" (link sotto), che in effetti chiuderebbe il transito di contrada Rigopiano per evitare i problemi di viabilità causati dal “turismo macabro”.
Lo stesso sindaco secondo questa fonte solleciterebbe (giustamente) la provincia a riaprire la SP 37.

Bene, io penso questo:
  • Non sono affari di nessun amministratore i motivi per cui la gente si sposta. Reagire a presunte intenzioni censurabili traendone divieti è anzi a mio avviso un abuso di potere.
  • Sono invece affari degli amministratori assicurare l’uso in sicurezza delle infrastrutture di loro competenza e far rispettare le regole di comportamento nel parco nazionale (cosa che, stando a notizie che riporto sotto, non sempre è avvenuto anche nel comune di Farindola).
  • Impedire a un’area molto vasta del teramano di arrivare velocemente a Campo Imperatore in stagione estiva è una lesione enorme della qualità della vita di chi ci vive o di chi visita una zona che giustamente punta, o dovrebbe puntare, all’attrattività delle sue bellezze naturali.
Consiglio anzi all’amministrazione di Farindola di intercettare i cosiddetti turisti macabri e non solo aiutarli a scoprire la zona con accoglienza e servizi, ma anche raccontargli cosa è successo a Rigopiano, magari con un centro documentazione. Che, certo, dovrà in parte attendere la verità processuale prima di fornire informazioni definitive.

Macabri, in questa storia di divieti, a me sembrano solo il moralismo di maniera, la paura della conoscenza e della trasparenza.
Derrick è a disposizione di esperti e amministratori per ospitarli e approfondire il tema.


Censura per Derrick da "Il Pescara"

Derrick ha proposto alla rubrica di segnalazioni dei lettori del Pescara, citato qui come fonte, il testo di questo articolo. Dopo alcuni giorni, è arrivata una mail - priva di spiegazioni e da un indirizzo a cui non è possibile rispondere - con la quale il giornale comunica che l'articolo non è stato "approvato".


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