martedì 3 ottobre 2017

Energia abusiva (Puntate 328-329, in radio il 26/09 e il 3/10/2017)

In un bell’articolo sul Fatto Quotidiano del 17 settembre 2017 Fabio Balocco si chiede come mai le costruzioni abusive ottengano di solito l’allacciamento a utenze come luce, gas e acqua quando le norme invece, almeno per gli immobili che abbiano chiesto l’allaccio negli anni recenti, lo vietino. E ipotizza che sia un difetto degli amministratori pubblici, e in particolare dei sindaci, a portare a non comunicare ai fornitori l’illegittimità dell’immobile e quindi delle forniture.


Gli abusi "di necessità"

Probabilmente, aggiungo io, c’è anche la diffusa convinzione (che come Balocco trovo anch’io abnorme) che l’abuso edilizio non sia abbastanza grave da dover renderne davvero inutilizzabile il frutto. Convinzione che produce concetti come l’”abuso di necessità” che abbiamo sentito in qualche caso invocare per esempio dopo il terremoto di Casamicciola dell’agosto scorso 2017.

Una casa a Marsiglia
(Foto di Derrick, 2007)
Del resto il tener conto di condizioni “di necessità” in corrispondenza della violazione di norme non è affatto estraneo all’ordinamento italiano. Il Codice Penale all’art. 54 in linea generale recita che “non è punibile chi ha commesso un crimine per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

In applicazione al furto, lo stesso codice dice che la necessità deve corrispondere a un “grave e urgente bisogno”, la sussistenza del quale, secondo quanto ha chiarito la Cassazione, non può essere determinata da una semplice condizione di indigenza. La stessa Cassazione di recente ha stabilito che un allaccio abusivo all’elettricità non è furto per necessità perché la rinuncia alla fornitura elettrica non comporta un pericolo grave e immediato per la persona.

La giurisprudenza dunque sembra limitare enormemente le depenalizzazioni dell’accesso fraudolento all’elettricità. Ma il principio che l’energia sia un bene a cui la società debba garantire un accesso facilitato indipendentemente dalle condizioni di reddito è nell’ordinamento, anche nella legislazione europea, e comporta anche conseguenze di redistribuzione economica all’interno delle bollette.


Le tutele ai clienti vulnerabili dell'energia

La vulnerabilità indica una condizione di potenziale incapacità di perseguire con efficacia i propri interessi di consumatore, e può giustificare forme di aiuto e di tutela che per esempio in Italia includono una tariffa standard controllata dall’Autorità di settore per i piccoli clienti che non vogliano scegliere sul mercato, prevista ancora fino a metà 2019 stando alla legge concorrenza, ma anche forme di standardizzazione e semplificazione delle bollette, nel tentativo spesso non riuscito di renderle più esplicative e, in futuro, obbligo di inclusione nell’offerta di ogni venditore di tariffe con strutture standard, per facilitarne il confronto tra operatori.

(In realtà le bollette suscitano spesso equivoci anche molto gravi. Uno che mi è stato più volte segnalato riguarda la voce relativa a “trasporto e gestione del contatore” nelle bollette elettriche. Dove trasporto non si riferisce al contatore ("quanto diavolo è costato portarmi il contatore?"), ma alla gestione della rete che porta a casa l’energia).

Regole come quelle che ho citato dovrebbero ridurre per i clienti “vulnerabili” il rischio di sorprese o clausole vessatorie, senza nel contempo comprimere troppo la libertà dei fornitori di proporre soluzioni innovative.
Qualche volta però queste limitazioni comportano perdita di opportunità per tutti. Per esempio in Italia nessun fornitore può legare un cliente domestico per un periodo anche solo di pochi mesi, nemmeno prevedendo una piccola penale di uscita. Il che impedisce ai clienti stessi di avvantaggiarsi di offerte che sarebbero possibili grazie alla minore incertezza che una fedeltà pattuita conferisce alla fornitura.


La povertà energetica

Ancora più critiche mi sembrano le norme di contrasto alla povertà energetica, che forse nascondono un clamoroso errore del legislatore. Infatti, se non c’è dubbio che la povertà sia una condizione di cui i sistemi fiscali e di welfare debbano tener conto, declinarla in termini di accesso a singoli beni crea almeno due controindicazioni:
  1. Implica un notevole paternalismo dirigista, stile tessera annonaria, in cui lo Stato decide quali acquisti devono essere facilitati a un povero e quali no. (Perché se sono povero mi assegni un caffè al giorno se a me piace il tè?, assicurati piuttosto che abbia i soldi per uno o l’altro)
  2. Produce una proliferazione normativa caotica e la sovrapposizione di sistemi di welfare autonomi difficilmente integrabili. Che costringono lo stesso consumatore a documentare la propria situazione reddituale o patrimoniale più volte per accedere, magari con criteri diversi, a sconti in diversi settori, e rendono più facile l'elusione delle norme.



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