sabato 16 settembre 2017

Sorpresa: l'eolico in mare costa poco (Puntata 327 in radio il 19/9/2017)

Uno dei limiti dei mercati spot (cioè di breve termine) dell’energia elettrica è la loro forte volatilità. 
Esistono prodotti finanziari scambiati dentro e fuori dalle borse che permettono di fissare in anticipo il prezzo dell’energia, ma tipicamente non sono abbastanza liquidi su coperture oltre i pochi anni. Per questo chi vuole investire in nuove centrali tipicamente deve prendersi il rischio che l’elettricità valga in futuro meno di quanto serve per ripagare l’investimento.
Una casa nelle Cotswolds (UK)
fotografata da Derrick nel 2012
A pensarci bene, questo succede in quasi tutti i settori: gl’imprenditori è normale che prendano il rischio di creare capacità produttiva che potrebbe rivelarsi in eccesso, a fronte della speranza di ottenere se va bene guadagni maggiori al rendimento di
un bond strasicuro.
Nei mercati liberalizzati dell’elettricità dicevo che il principio vale, ma con alcune eccezioni. Una ha recentemente riguardato il nuovo nucleare inglese, al quale la politica locale ha deciso di assicurare per decenni una remunerazione predefinita e molto alta (a spese delle bollette) e di cui qui a Derrick abbiamo trattato diffusamente.
Un’altra eccezione riguarda, anche in Italia, le nuove fonti elettriche rinnovabili a cui viene garantito un prezzo predefinito per un po’ di anni. Prezzo che però, a differenza del caso nucleare inglese, viene stabilito in modo competitivo attraverso aste al ribasso.
Bene, qualche giorno fa, con un simile meccanismo di aste, il governo britannico è riuscito ad assicurarsi da controparti di mercato una capacità produttiva futura di oltre 2000 MW da centrali eoliche in mare a un prezzo tra i 65 e gli 85 €/MWh. Molto meno degli oltre 105 garantiti (a cambio attuale) al nuovo nucleare di Hinkley Point, e per una capacità produttiva simile.


Perché si tratta di un risultato clamoroso? Perché mostra una tendenza di riduzione dei costi dell’eolico marino ancora più veloce di quanto s’immaginasse prima di queste aste, e per una tecnologia che è tra le più costose tra le fonti rinnovabili.

Dunque l’eolico offshore batte di gran lunga il nucleare per economicità?
In prima istanza senza subbio sì.
Un’obiezione certamente valida è che i costi di produzione potrebbero non essere indicativi del costo totale per il consumatore. Infatti per l’eolico essi non comprendono i costi di backup che il sistema elettrico deve essere pronto a fornire, e pagare, quando il vento cala. Nel caso del nucleare invece il costo di produzione non include, o non interamente, gli oneri, scarsamente stimabili, della messa in sicurezza definitiva delle scorie (per ora non attuata in nessun luogo del mondo), e di certo non quelli potenzialmente enormi di incidenti catastrofici.
Tanto vale dunque basarsi sui soli costi di produzione a cui l’industria oggi è disposta a impegnarsi. Alla luce dei quali non stupisce che per esempio Caroline Lucas dei verdi inglesi, come riporta Adam Vaughan sul Guardian dell’11 settembre 2017, ritenga che si dovrebbe ripensare l’impegno sul nuovo nucleare britannico, vista la disponibilità di alternative altrettanto vaste e si direbbe molto più economiche per la produzione elettrica senza emissioni-serra.


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