martedì 25 febbraio 2014

PIL su, energia giù - D193

La settimana scorsa i consumi di elettricità in Italia sono stati il 5% più bassi che nella stessa settimana del 2013, scrive Energy Advisor.

E aggiunge che ci sono motivi contingenti, come il clima eccezionalmente caldo, che non bastano però a spiegare un calo così forte. Antonio Sileo su Agi Energia riporta dati del CNR secondo cui la temperatura dello scorso gennaio è stata di 2,1 gradi più alta della media del periodo dal 1971 al 2000, terzo in classifica tra i gennaio più caldi dal 1800 ad oggi.
Il che ha di certo un ruolo nel motivare il -11% dei consumi di gas naturale del gennaio 2014 rispetto al gennaio 2013, che già aveva segnato un calo notevole rispetto all’anno prima. Nel 2013, complessivamente, i consumi di gas sono scesi sotto i 70 miliardi di metri cubi, un livello inferiore al 2002, scrive sempre Sileo.

Luigi De Francisci di Terna, ancora su AgiEnergia, commenta i dati 2013 dei consumi elettrici: 3,4% sotto al livello del 2012.
La relativa stabilità del rapporto tra PIL e consumi energetici, dice De Francisci, sta venendo meno. E in effetti, se guardiamo al 2013, i dati ISTAT registrano una riduzione del PIL su base annua dell’1,9%, riduzione ben inferiore a quella dei consumi elettrici, per non parlare dei consumi di gas, calati nel 2013 di ben il 6,4%.
E stiamo tralasciando i consumi di altre fonti di energia, come i combustibili per autotrazione.

Dobbiamo preoccuparci?
Sicuramente si stanno preoccupando i produttori e fornitori di energia. Ma una riduzione del rapporto tra PIL e energia usata è un risultato coerente con anni di investimenti e politiche di efficienza energetica da un lato, e con crisi  e delocalizzazioni industriali nei settori tradizionali dall’altro.

Potrebbe essere un cambiamento strutturale.

martedì 18 febbraio 2014

Una strana prevendita - D192

Questa volta racconterò un fatto che è accaduto proprio a me e da cui ho tratto alcune riflessioni e una segnalazione recapitata il 28/12/2013 all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, rubricata con numero W00039686.

Ecco la storia. Una sera di metà dicembre scorso in un teatro milanese era in cartellone la prima della nuova tournée di Sergio Caputo, il cantautore e chitarrista jazz che quest’anno festeggia 30 anni del suo fortunato “Un sabato italiano” per la gioia di molti fan.
La gran parte dei quali si era approvvigionata del biglietto in precedenza su un noto sito di prevendite, pagando 6 € di diritti di “prevendita”. Altri invece, tra cui me, si sono presentati alla biglietteria del teatro poco prima dello show. E si sono visti pretendere anche lì i diritti di prevendita. A fronte di un servizio di cui, evidentemente, non usufruivano.

“Perché”? Chiede il nostro eroe, ottenendo solo un mugugno tautologico dalla signora allo sportello. E non ottenendo nessuna risposta alla successiva mail al teatro né dopo averlo sollecitato su twitter. Il teatro, che non nomino qui perché non ho alcuna finalità di rivalsa, ma che ho nominato all’antitrust, dopo oltre due mesi non ha ancora risposto ai miei quesiti.

Non è la prima volta che i diritti di “prevendita” di un concerto fanno arrabbiare un consumatore. Già nel 2008 il Movimento Consumatori ha presentato un esposto all’antitrust lamentando il prezzo ingiustificatamente alto per la messa a disposizione anticipata dei biglietti.
Ma la mia questione è diversa. A me è stato fatto pagare un servizio che non mi è stato fornito. Lo trovo scorretto, e suona un po’ anche da presa per i fondelli. Un teatro per me può chiedere il prezzo che vuole, ma non pubblicizzarne uno e poi gonfiarlo con queste trovate su servizi inesistenti e obbligatori.

Secondo voi perché è successo? Io faccio due ipotesi.

La prima, più banale, è semplice scorrettezza del teatro per giustificare (si fa per dire) una cresta sul prezzo.

La seconda, più interessante e che potrebbe avere una rilevanza antitrust, è che ci sia un accordo tra teatri e società di prevendita, per impedire ai primi di essere più economici nei biglietti emessi direttamente e quindi di fare concorrenza alle prevendite. Accordo che potrebbe essere stato ottenuto da queste ultime grazie alla loro posizione di dominanza nel mercato.

Ricordo che anni fa Alitalia introdusse delle commissioni di vendita e ricordo di aver letto che erano state le agenzie ad esigerlo. Oggi credo non sia più così, e non so se sia l’effetto di un’azione delle Autorità.

Ora sono in attesa dell’esito della mia segnalazione, ma nel frattempo mi piacerebbe sapere se ad alcuni ascoltatori (o lettori) sia capitato un caso simile. Questo mi aiuterebbe a capire quale delle due ipotesi sopra è più verosimile.

In caso di mancato avvio dell’istruttoria entro giugno 2014 - mi ha comunicato con una risposta automatica l’Antitrust -  vorrà dire che la mia segnalazione avrà subito un’archiviazione o un non luogo a provvedere. Il che non impedisce, spiega sempre l’Autorità, che gli uffici decidano un approfondimento istruttorio.

Allora intanto io apetto un riscontro dagli ascoltatori, alla mail derrickenergia@gmail.com. Grazie.

martedì 11 febbraio 2014

I numeri delle esenzioni fiscali a consumo e produzione di energia - D191

La guerra dei sussidi non si placa. In epoca di crisi un po’ tutti, legittimamente perché chiedere non è reato, chiedono sussidi per non rinunciare al proprio reddito anche se la disponibilità a pagare dei loro clienti si riduce, e il legislatore spesso li concede o continua a concederli. Forse perché, e questa è una mia opinione, al potere fa comodo elargire mance coi soldi altrui. È il meccanismo classico della clientela, no? Ma la crisi pesa anche sul bilancio pubblico, e su quello di chi nelle bollette paga sempre più paratasse.

Assoelettrica, l’associazione confindustriale che rappresenta il settore della generazione elettrica, ha rilanciato su twitter, in seguito a un articolo su Quale Energia, la polemica con Legambiente che in un suo studio recente, già visto in Derrick, quantificava in 12 miliardi gli aiuti annui alle fonti di energia fossile in Italia, con alcune aggregazioni opinabili ma in ogni caso evidenziando una realtà davvero difficile da sostenere e motivare, se è vero, come scrive il fondo monetario, che i sussidi alle fonti fossili, oltre ad avere i difetti di tutti i sussidi, accelerano l'esaurimento delle risorse naturali e si oppongono agli investimenti in decarbonizzazione e fonti rinnovabili.

Oggi Derrick si limita, dati della previsione di bilancio dello Stato per il 2014 alla mano, a snocciolare alcuni dei numeri, su cui tornerò di sicuro, delle esenzioni alle imposte sul consumo o produzione di fonti energetiche, di origine fossile quando si parla di combustibili, e prevalentemente fossile quando si parla di accise al consumo di elettricità (perché i 2/3 circa di elettricità in Italia la facciamo ancora con combustibili fossili).

Procediamo per settore: chi si becca il grosso degli sconti d'imposta sull’uso di energia? I trasporti, con quasi 4 miliardi. Segue l’agricoltura con oltre 1, e per entrambi si parla quasi solo di accise su combustibili fossili. 
L’oltre mezzo miliardo di sconti alle accise dei clienti domestici che consumano poco riguardano invece perlopiù l’elettricità.
Poi, molto staccati, ci sono il resto dei settori, con solo 140 milioni circa. Ma attenzione: per quanto riguarda l’industria manifatturiera, gli aiuti ai consumi energetici ci sono e sono alti, ma non sono nelle accise, bensì nella parafiscalità delle bollette, e quindi non concorrono all’analisi di oggi.

Facciamo zoom sui trasporti, visto che da soli si mangiano 4 dei circa 5,7 miliardi di cui stiamo parlando. Il trasporto aereo commerciale ha sconti per 1,6 miliardi, poco più di quello a TIR e autolinee passeggeri (a queste ultime molto meno che ai TIR). Importanti anche i 640 milioni a trasporto marittimo e pesca. Tutti sconti questi sulle accise carburanti.

Il totalone di mancato gettito relativo previsto per il 2014 dalla Ragioneria dello Stato, lo ripeto, è di poco meno di 5,7 miliardi. Ed è una stima per difetto, perché i dati non includono alcune forme non di esenzione, bensì di non assoggettabilità alle accise, su cui Derrick cercherà di fare valutazioni quantitative prossimamente.

Chi paga il conto di questi sussidi? I soldi non hanno etichetta, quindi si può dire genericamente: i contribuenti, in particolare quelli che alla pompa di benzina le accise le pagano tutte. Gli stessi contribuenti che pagano i sussidi alle fonti rinnovabili e all’efficienza, i cui effetti sono almeno in parte vanificati dai sussidi alle fossili.

Ringrazio Marianna Antenucci.

martedì 4 febbraio 2014

Perché da noi l'elettricità costa di più - D190

Una domanda tipica a chi come me si occupa di energia è: perché in Italia l’energia elettrica costa più che altrove in Europa, sia all’ingrosso che al dettaglio? Derrick ha già risposto da molti punti di vista, ma conviene tornarci periodicamente.

Intanto, il prezzo al dettaglio italiano sì in media è più alto di quello dei Paesi europei, ma non per tutti i clienti (anzi non per la maggioranza in termini di numerosità) e non in pari misura. Pagano per esempio poco in Italia rispetto alla media UE le forniture domestiche residenti con consumi contenuti, e pagano, per esempio, più o meno come in Germania i grandissimi consumatori industriali.
Ma in media e per le altre categorie sì: da noi si paga di più l’elettricità.

Una ragione sono gli oneri di sistema, che pesano circa la metà di una bolletta domestica. Oneri che remunerano i sussidi alle fonti rinnovabili, le reti elettriche, e poi una pletora di altri costi tra cui il finanziamento di regimi tariffari di favore.

L’altra ragione della bolletta elettrica alta è che da noi costa di più l’elettricità all’ingrosso.
Il motivo di solito invocato è il largo uso (anche se molto decrescente ormai) delle centrali a gas. È una spiegazione corretta, ma non significa che il nostro sistema energetico sia o sarà meno economico di altri. Vediamo perché:

Il prezzo nella borsa elettrica dipende nel breve periodo, come in altri mercati competitivi, dai costi marginali, cioè quelli del combustibile delle centrali. E il gas è il combustibile fossile più caro e pregiato. Ma anche quello che permette di fare centrali termoelettriche sostenendo investimenti più bassi.
Spesso s’invoca la Francia come caso virtuoso di economicità grazie al nucleare. Ma è un’affermazione parziale e quindi sbagliata. Perché se è vero che il nucleare, che ha costi di combustibile limitati, fa calare il prezzo di mercato nella borsa elettrica, è anche vero che ha costi di investimento molto elevati che nel mondo sono quasi sempre stati socializzati e quindi sono finiti nelle tasse anziché nelle bollette.

Ma torniamo al gas. Quale grande Paese extraeuropeo oltre all’Italia ha il gas come principale fonte di produzione di energia elettrica? Da poco gli Stati Uniti d’America, che dopo due anni di boom di nuove installazioni hanno ora ben il 42% di tutta la potenza elettrica installata a gas.

E come mai il boom? Perché negli USA il prezzo del gas è crollato (per poi risalire di recente ma sempre restando molto al di sotto dei prezzi europei e soprattutto asiatici). Tema, quello del gas USA, cui ho dedicato varie puntate a partire da questa.

Un’utile analisi comparativa dell’Autorità per l’Energia sui prezzi elettrici italiani rispetto all’Europa, anche se con dati Eurostat non recentissimi, è qui.